Leoni e gazzelle, orsi e pesci, serpenti e topi, crostacei e plancton. Le comunità ecologiche terrestri sono incredibilmente varie. Eppure, seguono tutte una legge costante e, per certi versi, controintuitiva: laddove le prede abbondano, non ci sono, proporzionalmente, più predatori.
Mano a mano che la biomassa (cioè l'insieme di organismi animali o vegetali) delle prede aumenta, il rapporto tra prede e predatori diminuisce, perché la crescita della popolazione di chi mangia non va di pari passo con quella di chi viene mangiato.
Trasversale. Questa legge del rapporto tra prede e predatori, descritta in un articolo appena pubblicato su Science, si riscontra in modo sistematico negli habitat più disparati, dalle pianure erbose alle foreste, dai laghi agli oceani.
Un team di ricercatori della McGill University e dell'università di Guelph (Canada) ha analizzato le biomasse e la disponibilità di cibo di 2.260 ecosistemi in 1.512 località del mondo, passando in rassegna i dati raccolti da un migliaio di studi precedenti.
Crescita impari. È emerso che in ecosistemi ricchi di risorse, come la savana africana, ci sono sempre meno predatori all'apice della catena alimentare di quanti ci si aspetterebbe. Con la crescita della quantità o del numero di prede - ossia un habitat ricco di cibo - ci si aspetterebbe anche un congruo aumento dei predatori. Ma non è quello che succede.
Dove sono i leoni? Se un sistema è così ricco di prede, che senso ha che i predatori abbiano meno successo, lasciando così tanto cibo nel piatto? I ricercatori non hanno ancora una risposta.
Una possibile lettura è che molti predatori porterebbe a una minore crescita del tasso di riproduzione delle prede e, di conseguenza, a una riduzione della popolazione degli stessi predatori.