Se in questi anni avete seguito le notizie che arrivano dal mondo dell'apicoltura, relative a un crollo delle popolazioni di api in tutto il pianeta e forse addirittura alla loro estinzione, avrete certamente sentito usare più volte la parola "neonicotinoidi", cioè la classe di insetticidi più usata al mondo, e quella che sta causando i danni più gravi alle api.
Peggio del previsto. Uno studio pubblicato su PNAS dipinge un quadro ancora peggiore, se possibile: oltre ai danni immediati causati dall'esposizione a neonicotinoidi, le api ne subiscono anche altri, invisibili ma duraturi, e che possono ripercuotersi negativamente anche sulle loro future generazioni.
I neonicotinoidi sono stati, fino al 2018, gli insetticidi più usati al mondo; la loro fama ha cominciato a vacillare quando si è scoperto che, se è vero che non sono dannosi per mammiferi e uccelli, lo sono però per gli insetti – comprese le api, la cui azione di impollinazione è fondamentale per le piante che gli insetticidi stessi dovrebbero proteggere. Per questo nel 2018 i principali neonicotinoidi sono stati banditi nell'Unione Europea, e il loro uso ristretto anche negli Stati Uniti. Questo non significa, però, che non vengano più usati (nel 2020 la Francia ha deciso di permetterne l'uso in specifiche situazioni), e che abbiano smesso di fare danni alle api.
Un'abbuffata fatale. Clara Stuligross, una delle autrici dello studio, ha deciso di concentrarsi non sulla classica ape da alveare, ma su un'ape solitaria, l'Osmia lignaria, che fa il nido nei buchi degli alberi, nelle tane abbandonate di altri insetti o addirittura a terra. Una volta l'anno, all'inizio della primavera, queste api passano un paio di giorni a mangiare tutto il polline che possono, prima di deporre le uova e morire: questo breve periodo di abbuffata è fondamentale per molte piante da frutto, ed è anche quello durante il quale le api sono più esposte agli insetticidi.
Che i neonicotinoidi facciano male alle api è cosa nota. Quello che Stuligross ha dimostrato, però, è che questo "male" ha effetti additivi. Le api esposte ai "neonic", infatti, hanno un calo della fertilità, che peraltro peggiora a ogni successiva esposizione. Lo stesso vale per la loro discendenza: anche la progenie di un'ape "contaminata" produce meno figli, e un'ape che viene in contatto con il veleno quando è ancora una larva ne sentirà gli effetti per tutta la vita, anche dopo il passaggio alla fase adulta.
E ora? Secondo Stuligross questo è un problema che dovrebbe essere affrontato in fase di formulazione di strategie ecologiche: finora, i piani di protezione delle api si basano sugli effetti dei pesticidi su una singola generazione, e non tengono conto dei danni persistenti e che possono anche scavalcare le generazioni.