C'è chi li vede come luoghi di tortura dove animali innocenti restano intrappolati per il sollazzo dell'uomo, ma gli zoo, soprattutto negli ultimi decenni, sono diventati qualcosa d'altro: non più una sorta di circo mascherato il cui scopo principale è far felici i visitatori, ma luoghi di conservazione e di ricerca, dove è possibile studiare il comportamento di animali che altrimenti sarebbe difficilissimo, se non impossibile, osservare in natura. Uno scrigno di possibilità, delle quali però l'uomo sfrutta solo una minima parte; secondo uno studio dell'Università dell'Exeter, infatti, la maggior parte delle ricerche condotte negli zoo di tutto il mondo si concentra su un singolo gruppo di animali: i grandi mammiferi.
I più amati. Il perché è semplice da intuire: più sono grossi (e simili a noi) più piacciono, e più è facile farsi finanziare una ricerca su di loro. È il motivo per cui gli studi negli zoo ci hanno permesso, per citare due esempi fatti dagli stessi autori, di scoprire molto sul comportamento riproduttivo del rarissimo rinoceronte di Sumatra (Dicerorhinus sumatrensis) e pochissimo su quello della rana dell'Amazzonia Phyllomedusa sauvagii: dovendo scegliere quale delle due studiare, i ricercatori puntano sull'animale più "vendibile", che faccia più presa sulla fantasia pubblico.
Occasioni mancate. Gli zoo, quindi, si stanno lasciando sfuggire opportunità uniche, e con loro tutti gli scienziati che conducono studi per conto di Università o istituti di ricerca. E non si tratta solo di, per così dire, diversificare il target: lo studio invita anche ad ampliare lo spettro delle investigazioni, perché la maggior parte degli studi condotti negli zoo si concentra sulla salute degli animali, trascurandone per esempio il comportamento - qualcosa che, per molte specie, è impossibile da fare in natura.