Serpenti, vespe, ragni, meduse, scorpioni: l'estate riserva occasioni di incontro con diversi animali velenosi, dotati di arsenali tossici selezionati in milioni di anni di evoluzione. Da quali meccanismi ha origine, il veleno? Perché alcuni animali ne hanno uno più potente di altri? Queste sostanze mutano, o restano sempre uguali? E quali stratagemmi mettono in campo, le prede, per salvarsi la pelle? Ecco sette curiosità scientifiche forse poco note sul veleno nel mondo animale.
1. Uno, nessuno, centomila. L'etichetta di "animale velenoso" raccoglie circa 100 mila specie tra insetti, rettili, molluschi, anfibi, mammiferi, persino uccelli. Animali estremamente diversi, che non discendono da un unico antenato, ma hanno sviluppato l'abilità di produrre veleno più volte, separatamente e in tempi e contesti geografici distanti, semplicemente perché risultava vantaggiosa.
Come ricorda ScienceNordic, il "superpotere" del veleno emerge come reazione a cambiamenti nell'ambiente, per esempio in seguito a variazioni delle temperature o del numero di prede disponibili.
Questi fattori esercitano una pressione evolutiva, e le nuove mutazioni più adatte ad affrontare le sfide imposte dall'habitat vengono favorite, in un processo di selezione naturale. Le pressioni ambientali possono esistere ovunque, da qui la convergenza evolutiva, ossia l'evoluzione di tratti molto simili tra specie anche molto lontane e dissimili.
2. Le origini del veleno: vecchi geni, riciclati. Anche se i celenterati come le meduse detengono lo scettro dei più antichi animali velenosi (sono in giro da 600 milioni di anni), il veleno più studiato è quello di serpente. Rettili striscianti simili a quelli moderni esistono da appena 54 milioni di anni, ma ogni anno i loro morsi uccidono circa 100 mila persone. Studiando i serpenti si è visto che il veleno ha origine in genere da copie alterate di vecchi geni. Nella versione originale, questi geni producono proteine "innocue". In quella modificata, il duplicato ottiene nuove funzioni che conferiscono tossicità agli enzimi prodotti, e fanno sì che si esprimano nelle ghiandole velenifere.
Il processo si chiama neo-funzionalizzazione ed è ben esemplificato dagli enzimi della classe serin proteasi. Di norma, questi enzimi contribuiscono alla coagulazione del sangue e prevengono, nei serpenti feriti, la morte per dissanguamento. Ma in alcuni serpenti, come una vipera del Costa Rica, le nuove versioni dei geni che codificano per questi enzimi si sono evolute per conferire maggiore tossicità al veleno, che iniettato nella vittima previene la coagulazione del sangue e fa sì che muoia dissanguata anche dopo un solo morso.
3. Un continuo adattamento. Una volta che una specie ha sviluppato il suo veleno, non può semplicemente "rilassarsi".
Le prede svilupperanno presto forme di difesa contro quella sostanza, come una resistenza chimica ad alcune delle tossine iniettate, o migliori riflessi o un migliore camuffamento. Per restare un'arma micidiale, il veleno dovrà quindi continuare ad evolversi.
4. Perché alcuni animali sono più velenosi di altri? Tra i serpenti più velenoso al mondo troviamo il taipan dell'interno o serpente piccolo-scalato (Oxyuranus microlepidotus): un esemplare di questa specie australiana ha abbastanza veleno da uccidere 1.100 umani adulti. Ma queste cifre vanno lette con cautela, perché la tossicità varia in relazione al tipo di preda.
Alcuni serpenti sono per esempio specializzati in avvelenamento di rettili perché il loro habitat pullula di lucertole, ma sono meno letali per i mammiferi. Alcuni veleni diventano più potenti in risposta a più decise pressioni ambientali, in genere legate alla caccia: produrre veleno costa un sacco di energie, bisogna che ne valga la pena! In altri casi, l'abilità di produrre veleno cessa con il tempo, perché l'animale cambia dieta. Per esempio è scomparsa in pitoni e anaconda, che uccidono avvolgendo le spire attorno alle prede.
5. La paura del veleno? Ereditaria. Studi sui macachi hanno dimostrato che la vista di un serpente provoca una reazione di stress anche in esemplari che non ne hanno mai incontrato uno "dal vivo". Qualcosa di simile si osserva nei gatti, terrorizzati a morte dai cetrioli che si pensa ricordino, nella forma, i rettili striscianti. La convivenza forzata con i serpenti sembra inoltre aver influito sulla vista dei primati, migliorandola.
Uno studio su un diverso stimolo angosciante nei topi ha evidenziato che i ricordi traumatici si trasferiscono di padre in figlio attraverso il corredo recato dagli spermatozoi. Si può dunque immaginare che anche l'esperienza angosciante dell'incontro con un serpente lasci questo tipo di traccia intergenerazionale.
6. Alcuni animali copiano quelli velenosi (senza esserlo). Lo fanno per risparmiare energia: assumere i colori di una creatura velenosa, per assomigliarle, è molto meno dispendioso che diventare velenosi a propria volta. I ditteri della famiglia Syrphoidea (foto sotto) hanno una colorazione che ricorda quella delle vespe, mentre i serpenti da latte (Lampropeltis triangulum) imitano, nella livrea, il velenosissimo serpente corallo (Micrurus fulvius). Questa capacità di copiare per trarre vantaggio è detta mimetismo batesiano.
7. Stiamo esercitando una spinta evolutiva sui serpenti. La pressione ambientale esercitata dall'uomo sui serpenti è tuttora in atto. L'aumento della popolazione e la frammentazione degli habitat naturali aumentano le occasioni di vicinanza tra rettili ed esseri umani, mentre il riscaldamento globale fa spostare i serpenti sempre più verso nord.
In futuro, i morsi di serpente aumenteranno: se il loro veleno debba diventare più potente o piuttosto scomparire in favore di altre modalità di attacco e difesa dipenderà dall'area geografica.