Da più di 10 anni un esercito simpatico e grassottello è silenziosamente al lavoro per il bene del nostro pianeta: sono le decine di foche che dal 2004 mappano le acque del Polo Sud grazie a speciali sensori con i quali sono state equipaggiate da scienziati e ricercatori.
Scienziate con le pinne. Questi apparecchi, grandi come un cubo di Rubik, vengono applicati sulla testa delle foche e raccolgono 24 ore su 24 dati sulla temperature e la salinità delle acque in vari punti degli oceani antartci e a diverse profondità.
Ogni volta che l’animale riemerge, le informazioni vengono trasmesse via satellite a vari enti di ricerca che le utilizzano per alimentare i modelli climatici.
Il progetto è portato avanti dal Marine Mammals Exploring the Oceans Pole to Pole, un consorzio scientifico al quale partecipano istituti di 11 paesi diversi. «Le foche possono immergersi fino a 200 metri di profondità e raccogliere dati da luoghi dove nessuno era mai stato prima» spiega alla stampa Mike Fedak, responsabile della ricerca sui mammiferi marini alla St. Andrews University.
Ecologiche ed economiche. Le foche vengono reclutate dai biologi marini, che le catturano, le misurano, le pesano e incollano loro sulla testa l’apparecchiatura elettronica. La colla resisterà per circa un anno prima di sciogliersi.
In 10 anni di attività le foche hanno raccolto oltre 300.000 profili acquatici in posizioni diverse che ora sono consultabili anche online. I loro dati hanno permesso la realizzazione di 77 (finora) studi scientifici.
«I dati che gli animali ci trasmettono sono come dei tweet che descrivono le acque nelle loro immediate vicinanze» afferma Lars Boehe, un altro dei ricercatori che collabora al progetto. Effettuare un campionamento simile inviando operatori umani a effettuare i prelievi sarebbe impossibile oltre che enormemente costoso.