Lupi, alci, cervi, cinghiali e altri grossi mammiferi hanno ripopolato la "zona di esclusione" attorno a Chernobyl, 4200 chilometri quadrati tra Ucraina e Bielorussia interdetti all'accesso umano, dopo l'esplosione del reattore 4 della centrale nucleare nel 1986.
Lo afferma uno studio pubblicato su Current Biology, il più vasto censimento a lungo termine su animali di questo tipo nella zona: i dati raccolti mostrerebbero che la quantità di vita selvaggia nell'area è molto più alta di quanto non fosse prima dell'incidente. A dimostrazione che «in assenza dell'uomo, la natura fiorisce, persino dopo il peggior incidente nucleare al mondo» dice Jim Smith, tra gli autori della ricerca.
Presenza ingombrante. Ciò non significa che le radiazioni siano un toccasana per la vita animale, precisano gli scienziati. Ma solo che la presenza umana, in termini di caccia, distruzione dell'habitat naturale e disboscamento, pesa di più sulla fauna locale. E che istituire aree libere dall'uomo in cui la natura possa riprendersi i suoi spazi è necessario: non occorre un disastro nucleare per accorgersene.
A caccia di tracce. I ricercatori dell'Università di Portsmouth (Gran Bretagna) e della Polesky State Radioecological Reserve in Bielorussia hanno analizzato le impronte lasciate nella neve dai mammiferi in 35 diversi sentieri tra il 2008 e il 2010, in 315 km della parte bielorussa della zona di esclusione; hanno anche raccolto i censimenti dei mammiferi di grossa taglia compiuti nell'area da elicottero nei 10 anni successivi al disastro.
Più al sicuro. L'analisi dei dati ha escluso correlazioni tra i livelli di radiazione e il numero di animali presenti sul territorio. Al contrario, la popolazione di mammiferi è apparsa aumentare dopo l'incidente, a dimostrazione che la caccia e altri interventi umani avevano influito negativamente sulla fauna prima del 1986. La densità animale nella zona di esclusione è apparsa simile o superiore a quella di alcune riserve naturali della Bielorussia, con una popolazione di lupi, in particolare, fino a sette volte superiore a quella delle aree circostanti.


Dubbi. Ma la delicatezza del tema trattato sta suscitando alcune perplessità nel mondo scientifico. Tom Hinton, coautore del lavoro e ricercatore dell'Institute of Environmental Radioactivity all'Università di Fukushima, in Giappone, ammette che lo studio non valuta l'impatto delle radiazioni sui singoli esemplari, ma solo i suoi effetti sulle intere popolazioni.
«Senza dubbio - chiarisce - gli animali vicino a Chernobyl e Fukushima hanno sofferto danni a livello genetico». Ma le ripercussioni peggiori, spiegano i ricercatori, si sono registrate nell'anno subito successivo al disastro.
In quelli seguenti, gli effetti delle radiazioni sulla fauna non sono riusciti ad assottigliare la popolazione, rivelandosi molto più blandi di quelli accusati dall'uomo.
E gli animali più piccoli? Un'altra questione riguarda la taglia degli animali studiati: è facile che le grosse dimensioni di cervidi e cinghiali li abbiano in qualche modo protetti dalle radiazioni; altri studi evidenziano invece le conseguenze nefaste dell'incidente sulle popolazioni di uccelli, alcune delle quali hanno registrato una riduzione del volume cerebrale. Ulteriori ricerche andrebbero condotte sulle specie che non soffrono gli effetti diretti della caccia, come pennuti, piccoli roditori, insetti.
Attendibili? Infine, alcuni scienziati mettono in dubbio la credibilità dei dati bielorussi a cui attinge la ricerca, sollevando l'ipotesi che le valutazioni scientifiche più negative sugli effetti delle radiazioni possano essere state insabbiate. Ma Smith si dice sicuro dell'integrità dei risultati e dell'affidabilità dei ricercatori con cui ha collaborato per oltre vent'anni.