La maggior parte dei fossili lasciati dagli animali e da noi umani sono frammenti: un osso, un dente, un'impronta. Quando le condizioni sono giuste, però, può capitare che a rimanere nei millenni non sia solo una parte dell'animale, ma l'intero corpo: è il caso per esempio di Juanita e Otzi, due mummie ritrovate (una in Perù, una tra Austria e Italia) perfettamente conservate nel ghiaccio – una situazione ideale, ma al tempo stesso critica, perché qualsiasi studio su una mummia congelata rischia di rovinarla irrimediabilmente.
La soluzione di questo dilemma potrebbe arrivare dall'Alto Adige, e in particolare, come spiegato dall'istituto di ricerca Eurac in un comunicato, da un camoscio morto 400 anni fa.
Il dilemma del DNA. Il problema principale quando si studia una "mummia di ghiaccio" riguarda il DNA: se è vero che superficialmente la conservazione di questi esemplari è quasi perfetta, è anche vero che il DNA contenuto nelle loro cellule si è comunque degradato con il tempo, lasciando solo pochi frammenti – i quali rischiano di venire danneggiati irrimediabilmente, durante le analisi, dal cambio di temperatura e di condizioni ambientali rispetto a quelle presenti nel ghiaccio sotto il quale sono stati sepolti per millenni. Cosa c'entra il camoscio con tutto questo? Quest'estate, durante un'escursione, un alpinista ha scoperto il cadavere di uno di questi mammiferi, ed esaminandolo da vicino ha ipotizzato che non si trattasse di un esemplare morto da poco: l'alpinista ha dunque segnalato il reperto all'Eurac, che l'ha recuperato e identificato come un animale morto 400 anni fa, conservato per quattro secoli e "riapparso" solo quest'estate a causa del ritirarsi del ghiacciaio che lo custodiva.
Camoscio o cavia? Il corpo dell'animale è nelle stesse condizioni in cui si trovano le mummie di ghiaccio umane, e verrà dunque utilizzato come cavia: portato in laboratorio, verrà messo nelle condizioni perfette per la conservazione a lungo termine dei tessuti; dopodiché i ricercatori ne studieranno i frammenti di DNA, per scoprire se e come cambiano e si degradano nelle suddette condizioni, e quali parametri si possono cambiare per evitare che questo accada.
In questo modo sarà possibile capire qual è l'effetto delle tecniche di conservazione sul materiale genetico, ed eventualmente migliorarle, così da poterle un domani utilizzare anche sui fossili congelati umani per evitare di "rovinare" reperti di inestimabile valore scientifico.