L'influenza spagnola, cento anni fa; la Peste nera; il batterio che nel 2015 uccise 200.000 antilopi saiga; la malattia che sta disintegrando le stelle marine a ovest del Nord America... Tra tutte le epidemie che i viventi ricordino, nessuna ha avuto l'impatto devastante di un microscopico fungo, il Batrachochytrium dendrobatidis, che divora la pelle degli anfibi, un organo che gli animali usano per respirare e regolare liquidi corporei e temperatura: in breve tempo il patogeno, un chitride, conduce rane e raganelle alla morte, spesso per arresto cardiaco.
Numeri drammatici. Alcune rane muoiono subito, altre sopravvivono più a lungo e permettono la propagazione del fungo nell'acqua. La facilità di diffusione, nella quale anche l'uomo ha una buona parte di responsabilità, ha condotto verso l'estinzione intere specie. Tuttavia, nessuno tra gli erpetologi (chi studia gli anfibi) si aspettava un bilancio come quello descritto in un recente studio pubblicato su Science.
Finora si pensava che la chitridiomicosi, l'infezione provocata dal fungo, avesse causato il declino di circa 200 specie, alcune delle quali estinte. Le nuove stime dell'Australian National University rivelano invece che il patogeno ha decimato 501 specie, il 6,5% del totale. Di queste, 90 si sono estinte definitivamente, e 124 si sono ridotte di oltre il 90%, e hanno poche speranze di riprendersi.
Colpo di spugna. Mai prima d'ora avevamo assistito a un danno tanto esteso di un singolo patogeno nell'albero della vita. Per realizzare la gravità del fenomeno occorre pensare, come ricorda Ed Yong sull'Atlantic, che le rane sono organismi antichi, che si sono diversificati per 370 milioni di anni: un fungo ne ha cancellato una fetta importante in soli 50 anni. Se qualcosa di simile fosse accaduto alla classe a cui apparteniamo, sarebbe come dire che sono scomparsi tutti i mammiferi provvisti di zoccoli, o di pinne.
Un silenzio inquietante. Il primo sentore di qualcosa che non andava si iniziò ad avvertire negli anni '70 e '80, quando dai fiumi che scorrevano in riserve un tempo affollate di rane iniziarono a sparire uova e girini, e le foreste fino ad allora animate da gracidii si fecero silenziose.
L'organismo responsabile fu isolato solo nel 1998, e appena un anno fa ne è stata resa nota la provenienza (sembra venire dalla Corea).
L'uomo ha avuto un ruolo fondamentale nel fargli macinare tanta strada: con i commerci internazionali di animali a scopo medico, alimentare o domestico abbiamo accorciato le distanze e facilitato le occasioni di infezione. Inconsapevolmente, lo abbiamo introdotto in habitat un tempo "puliti", dove si è diffuso come una specie invasiva.
Perdita dell'habitat e riscaldamento globale ne hanno completato l'azione distruttiva.
Uno spiraglio di luce. Il 12% delle specie che hanno registrato un declino sta dando negli ultimi tempi qualche timido segnale di recupero, pur restando lontano dai numeri di prima. Nessuno però sa dire se sia solo una "pausa", prima di altri futuri focolai: se per esempio il chitride arrivasse in Papua Nuova Guinea, il paradiso delle rane, per molte specie endemiche sarebbe la fine.
La migliore strategia di contenimento sembra essere, per ora, la riduzione della mobilità degli anfibi nel mondo. Altre soluzioni parziali sono i programmi di allevamento in cattività, che danno modo alle popolazioni colpite di ripopolarsi in condizioni di sicurezza; i tentativi di manipolare il DNA del fungo - o delle rane, per renderle più resistenti; l'accostamento alle rane di batteri che possano difenderle, o ancora il loro trasferimento in luoghi che il chitride trova inospitali.