Negli ultimi giorni l'avrete vista più volte circolare sui social network: è la foto - autentica - di un orso polare magro ed emaciato, in cattive condizioni di salute, catturata e postata su Facebook dalla fotografa Kerstin Langenberger al largo del Mare di Barents, nell'arcipelago Norvegese delle Svalbard.
Sul suo sito, la reporter spiega che quella ritratta nello scatto è «una femmina, quasi uno scheletro, con una zampa anteriore ferita, intenta forse a cacciare un tricheco, mentre è bloccata a terra». Per Langenberger, a ridurre così l'animale è stato il riscaldamento globale, che sta cancellando i ghiacci marini, piattaforma di caccia degli orsi bianchi, a tempo record.
Svantaggiate. «Ho visto orsi in buona salute - scrive la donna - ma ne ho visti anche alcuni morti e affamati. Li ho visti camminare sulle spiagge in cerca di cibo, tentare di cacciare e mangiare renne, uova di uccelli, muschio, alghe. E ho realizzato che gli orsi grassi sono quasi esclusivamente maschi che trascorrono tutto l'anno sul pack ghiacciato. Le femmine, che raggiungono la terraferma per dar luce ai cuccioli, sono spesso magre. Con il ghiaccio in ritirata, rimangono bloccate a terra, dove non c'è cibo a sufficienza. I loro cuccioli muoiono. Raramente mi è capitato di vedere madri e cuccioli in buona forma».
Zona critica. Con femmine e cuccioli così vulnerabili, è in gioco la sopravvivenza di intere popolazioni. In effetti l'area in cui è stata scattata la foto è particolarmente "a rischio". Geoff York, responsabile della conservazione per Polar Bears International. ha raccontato di aver visto, recentemente, diverse altre foto di orsi magri e denutriti provenienti dal Mare di Barents.
«Quelle foto - spiega - sono preoccupanti e coerenti con quanto ci si aspetta di vedere nell'Artico, dove ci attende un numero sempre maggiore di anni "neri", segnati dallo scioglimento dei ghiacci marini». Nell'area, il periodo estivo, libero dai ghiacci, dura oggi 20 settimane in più rispetto al 1979.
Fuori dal coro. Ma se l'immagine ha una indiscussa valenza simbolica, non tutti attribuiscono la magrezza dell'orso ai cambiamenti climatici. Ian Stirling,un professore dell'Università di Alberta (Canada) con diversi decenni di esperienza nello studio degli orsi polari, in un'intervista ha invitato a giudicare lo scatto con cautela.
Vecchio. Per Stirling, che lavora alle Svalbard come guida ecoturistica ed è ogni giorno testimone della fusione dei ghiacci marini, l'esemplare nella foto potrebbe essere semplicemente un orso anziano e malato. Probabilmente ha una ferita a una delle due zampe posteriori e ha difficoltà a cacciare: forse anche per questo è affamato.
Altre testimonianze. Una singola foto non basta, quindi, a raccontare il problema. Ma Lagenberger non è l'unica fotografa ad aver raccontato la drammatica situazione (che non riguarda soltanto gli orsi, ma un gran numero di mammiferi, marini e non, la cui sopravvivenza è legata al ghiaccio marino).
Lo scorso anno Paul Nicklen, celebre fotografo del National Geographic non certo a caccia di notorietà, ha realizzato uno scatto analogo, che ha postato una settimana fa su Instagram.
Ritrae un orso polare morto, senza segni di ferite, una circostanza che lo stesso Nicklen dice di non aver mai osservato in tanti anni di spedizioni artiche. Lo stesso Stirling, nel commentare questo secondo scatto, si è detto quasi sicuro che l'esemplare sia morto di fame, a causa del ritiro dei ghiacci marini.