Nel mondo vivono in questo momento 1 miliardo e mezzo di bovini domestici, allevati per dare latte e carne. Tutti discendono da un'unica specie selvatica, l'uro (Bos taurus primigenius) estinto nel 1627, quando l'ultimo esemplare, una femmina, morì nella foresta di Jaktorów, in Polonia. Un tempo molto diffuso, l'uro fu preda ambita dell'uomo preistorico, che lo raffigurò magistralmente nelle pitture di Lascaux (Francia) e fu poi oggetto di attenzione da parte degli agricoltori del Neolitico che lo utilizzarono per ottenere le prime forme di bovini domestici. Ciò avvenne in tre processi di domesticazione indipendenti l'uno dall'altro, a partire da 9 mila anni fa in Mesopotamia, Africa occidentale e India - dando origine in questo ultimo caso allo zebù (Bos taurus indicus).
L'uro sta al bovino domestico come il lupo sta al cane. Da tempo gli studi genetici e di selezione, partendo da tori e vacche di decine di forme domestiche, hanno come obiettivo quello di ricreare la forma ancestrale. Ma confrontando i vari genomi, gli esperti hanno scoperto che un uro bello e pronto ci sarebbe già - almeno per buona parte dei suoi caratteri: si trova in Lazio e in Toscana, incarnato nella razza maremmana, rappresentata da 11 mila capi, molti dei quali sono tenuti allo stato brado.
Gli esemplari di maremmana mostrano infatti un particolare aplotipo (combinazione di varianti su un particolare cromosoma), detto T3, corrispondente a quello dell'uro che viveva in Mesopotamia, come dimostrato partendo dal dna estratto da ossa fossili. E dato che le varie raffigurazioni di bovini lasciate dagli Etruschi rimandano a esemplari con grandi corna, come nella maremmana, si è abbastanza sicuri che in Italia c'era da tempo una razza antica ancora molto simile all'uro, portata dal Vicino Oriente dai primi agricoltori. Non solo nella maremmana la mole, il mantello grigio scuro dei maschi e le loro larghe corna a mezzaluna (o a lira nelle femmine), ma anche il comportamento "selvatico" ricordano da vicino l'uro, come se questa fosse un fossile vivente.
«Attraverso la maremmana», spiega Jacopo Goracci, direttore tecnico della Tenuta di Paganico (Grosseto), dove da tempo si pratica l'allevamento brado estensivo della razza, «possiamo risalire al comportamento più naturale di vacche e tori anche di altre razze, che, tenuti in spazi angusti, vengono erroneamente considerati poco intelligenti e privi di esigenze. La maremmana conserva insomma l'anima dell'uro e l'identità negata ad altri bovini domestici meno fortunati.
» Goracci collabora con l'Università di Pisa nel primo vero studio etologico dedicato al comportamento selvatico della maremmana.
Si è visto che pur vivendo allo stato brado e partorendo senza assistenza veterinaria, una femmina di maremmana ha un successo riproduttivo del 98 per cento. «Quando deve partorire si allontana dalla mandria e si isola per 4-5 giorni», spiega Goracci. «Mangia la placenta per non attirare predatori. Se ha un parto gemellare abbandona il secondo nato, dato che nel suo antico codice genetico non era previsto che ce la potesse fare ad allattare e curarne due. I vitellini nascono come avveniva nell'uro, con un mantello rossiccio, completamente diverso da quello degli adulti, in modo da potersi meglio mimetizzare fra le foglie caduche del sottobosco quando lasciati soli.» Dopo qualche giorno la femmina rientra nel gruppo e presenta il suo piccolo: come negli ungulati selvatici di grande mole, in presenza di predatori (lupi, cani rinselvatichiti o semplici disturbatori umani) il gruppo si stringe intorno ai giovani per proteggerli.
Una mandria di maremmana è composta da un toro con 20-50 vacche. Queste hanno fra loro precise posizioni gerarchiche. Esiste una femmina alfa che guida tutte le altre, aprendo il sentiero nella vegetazione con le sue grandi corna e determinando il passo da tenere. Assieme ad altre femmine di elevato rango forma il gruppetto che sosta più vicino al maschio alfa. Lui ha praticamente a disposizione un harem. I maschi molto giovani sono tollerati, gli adulti invece devono stargli alla larga. Nel gruppo, sono comuni i comportamenti di collaborazione: «Per esempio», racconta Goracci, «una vacca aiuta un'altra a mangiare abbassando con la bocca le frasche alte degli alberi. Oppure due femmine si mettono una di fianco all'altra, testa-coda, per spazzare via reciprocamente le mosche in punti del corpo in cui da sole non potrebbero arrivare con la coda».