Il mare aperto è da sempre considerato come una sorta di deserto, almeno se paragonato alla costa o ai fondali: non c'è abbastanza cibo e non ci sono rifugi, e perciò è generalmente meno popolato. C'è una regione del Pacifico, però, dove questa situazione sta cambiando, e il "merito", se così si può dire, è di noi esseri umani, che a forza di rovesciare plastica negli oceani stiamo creando habitat semi-permanenti che, oltretutto, vengono anche rapidamente colonizzati.
Le nuove comunità. Lo dimostra uno studio pubblicato su Nature Communications che analizza la nascita di quelle che vengono definite comunità neopelagiche in quella zona del Pacifico nota come Isola di Plastica: la Great Pacific Garbage Patch (la grande chiazza di immondizia del Pacifico) o anche Pacific Trash Vortex (vortice di spazzatura del Pacifico).
L'Isola di Plastica del Pacifico è una delle cinque isole di plastica presenti oggi nei nostri oceani. Il nome potrebbe in parte ingannare, perché non si tratta di vere e proprie isole. Piuttosto si tratta di aggregati di plastica che vengono raccolti dalle correnti oceaniche e incanalati verso una determinata regione dell'oceano.
Vortici. Il fatto che le correnti stesse abbiano un andamento circolare fa sì che questi ammassi di plastica di dimensioni sempre crescenti formino dei vortici semi-permanenti. Si tratta di immense regioni - l'isola del Pacifico copre almeno 700.000 km quadrati, ma secondo alcune stime raggiunge addirittura i 15 milioni di km quadrati - nelle quali la plastica si muove costantemente con un moto circolare. E per quanto sia sempre in movimento, riesce comunque a costituire un substrato quasi stabile e quindi colonizzabile, almeno per alcune specie.
Lo studio è stato condotto grazie all'aiuto delle imbarcazioni dell'Ocean Voyages Institute, una non-profit che da anni si occupa di ripulire gli oceani dalla plastica: solo nel 2020, le barche dell'OVI hanno prelevato 103 tonnellate di materiali dall'isola del Pacifico. È in questo modo che hanno scoperto la presenza di una grande varietà di specie, tra cui anemoni di mare, idrozoi e piccoli crostacei, che hanno preso possesso dei nostri scarti e vi hanno stabilito le loro comunità. Si tratta per la maggior parte di specie che solitamente vivono sulla costa e che sono state trasportate in alto mare da plastica vagante; qui sono riuscite a trovare un substrato adatto alla colonizzazione e, così credono gli autori dello studio, abbastanza cibo per sopravvivere (probabilmente portato anch'esso dalla plastica).
I quesiti aperti. L'arrivo di nuove specie in alto mare potrebbe turbare l'equilibrio ecologico: come reagiranno le specie locali all'invasione? E cosa succederebbe se queste nuove specie, definite nello studio neopelagiche, dovessero prima o poi venire trasportate di nuovo verso la terraferma, e finissero su un'altra costa, potenzialmente vulnerabile all'invasione di specie aliene?