La popolazione di elefanti africani è in costante declino da anni, e oggi ne sopravvivono in tutto il continente poco più di 400.000 esemplari. Ecco perché, quando lo scorso maggio un gruppo di conservazionisti che lavorano in Botswana hanno sorvolato il delta dell'Okawango, quello che hanno visto li ha turbati profondamente: nel corso di un volo di tre ore hanno avvistato 169 elefanti morti, un numero che è salito fino a superare i 350 nei giorni successivi.
Lo ha riportato per prima la BBC, che racconta come si tratti di una strage senza precedenti: secondo Niall McCann, conservazionista del National Park Rescue, si tratta di numeri mai visti prima. Il dettaglio peggiore? Non è ancora chiaro cosa li abbia uccisi.
Colpa dei cacciatori? La morìa risale al mese di maggio, e da allora le autorità del Botswana stanno investigando per individuare la causa: il Paese non sta attraversando un periodo di siccità (che è solitamente la prima causa di morti di massa come questa), e il fatto che a nessuno degli elefanti morti siano state strappate le zanne fa pensare che la colpa non sia da attribuire al bracconaggio; una considerazione corroborata dal fatto che parliamo di una strage di elefanti e solo di elefanti: se la loro morte fosse stata causata dal veleno usato dai bracconieri, gli scienziati avrebbero dovuto trovare i cadaveri anche di altri animali.
Colpa del cianuro? Un'altra ipotesi è quella di un avvelenamento naturale da antrace, che già nel 2019 fece 100 morti tra gli elefanti del Botswana. Per averne conferma o smentita però bisogna aspettare i risultati delle autopsie: finora tutto quello che si sa è che molti esemplari prima di morire si comportavano in modo tale da far pensare a qualcosa che abbia attaccato il loro sistema nervoso centrale (molti elefanti per esempio hanno vagato in circolo prima di accasciarsi a terra). Questo significa che c'è anche la possibilità che la causa della strage sia una qualche patologia sconosciuta, un virus o un batterio o un parassita che, potenzialmente, potrebbe trovarsi nella falda e dunque, sempre potenzialmente, diventare un pericolo anche per gli esseri umani.