Animali

L'impatto delle radiazioni sui bombi di Chernobyl

A 34 anni dal disastro di Chernobyl, la radioattività nella Foresta Rossa è ancora abbastanza alta da nuocere al ciclo vitale degli impollinatori.

È facile immaginare l'area attorno a Chernobyl come a un deserto nucleare, inospitale per qualunque forma di vita. In realtà, l'assenza dell'uomo e la dispersione delle radiazioni da buona parte della zona di alienazione (il territorio nel raggio di 30 km dall'ex centrale) hanno favorito, in 34 anni, la diffusione di lupi, alci, cervi, cinghiali, in numero anche più elevato rispetto a prima dell'incidente del 26 aprile 1986.

Tuttavia, nelle aree in cui i venti trasportano il grosso delle radiazioni dopo il disastro nucleare, come la Foresta Rossa di Chernobyl, i livelli di radioattività restano ancora oggi pericolosi per la fauna. E a farne le spese potrebbero essere ancora una volta gli animali più utili e sensibili agli squilibri ambientali: gli impollinatori.

La Foresta Rossa di Chernobyl
La Foresta Rossa di Chernobyl, che comprendeva soprattutto pini silvestri, si sviluppava nelle immediate vicinanze della centrale e si estendeva per due chilometri verso ovest. Fu una delle aree più colpite dalla ricaduta di materiale radioattivo (fallout). Le conifere assorbono una quantità di radiazioni maggiore rispetto ad altre piante e gli alberi che non morirono immediatamente "bruciati" subirono mutazioni profonde nella crescita e nella colorazione. © Shutterstock

vertici azzoppati. Un gruppo di ricercatori dell'Università di Stirling, in Scozia, ha provato a riprodurre gli effetti di un mese di radiazioni ai livelli tipicamente registrati nell Foresta Rossa di Chernobyl su alcune colonie di bombi.

La scelta di studiare proprio questi insetti è dipesa dal ruolo essenziale che ricoprono negli ecosistemi: grazie alle caratteristiche del loro apparato boccale, i bombi riescono a scuotere dai fiori grandi quantità di polline, e sono fondamentali per l'impollinazione di molte piante e ortaggi cardine dell'alimentazione umana (come pomodori, melanzane, patate, peperoni, fragole, meloni).

L'esposizione a quantità di radiazioni comparabili a quelle della zona di alienazione di Chernobyl ha portato le colonie di bombi a generare il 35-40 per cento di regine in meno rispetto al normale. Le regine sono fondamentali in tutte le società di impollinatori, ma addirittura vitali per quelle dei bombi, che formano piccoli nidi che in genere non sopravvivono all'inverno. Solo le regine si mantengono grazie all'ibernazione, così da poter creare una nuova colonia in primavera, dando vita a centinaia di operaie.

Crescita rallentata. Alla fine dell'estate, la regina cambia produzione e si mette a generare in serie nuovi maschi o nuove regine per la sua successione. Più regine saranno prodotte, più bombi ci saranno la stagione successiva, ma per dar vita a nuove teste coronate servono maggiori risorse, e limitare le regine prodotte è la principale risposta dei bombi allo stress: lo stesso comportamento è stato osservato anche in presenza di una forte contaminazione da insetticidi.

Le colonie esposte alle radiazioni sono anche cresciute più lentamente delle altre, raggiungendo il culmine dello sviluppo con una settimana di ritardo. La relazione tra danni e radiazioni non è lineare: gli effetti non aumentano in modo proporzionale alla crescita delle radiazioni, ma si nota una risposta significativa già a bassi livelli di contaminazione.

Che significato ha la scoperta? Le aree più contaminate della Foresta Rossa di Chernobyl mettono a rischio la riproduzione e il lavoro degli impollinatori, un fenomeno che avrà conseguenze sull'intero ecosistema. Ironia della sorte, gli stessi scienziati hanno trovato, nell'area, una grande abbondanza e diversità di bombi, legata alla diversità di piante selvatiche cresciute spontaneamente. La riorganizzazione della natura dopo i disastri causati dall'uomo segue dinamiche complesse e non sempre prevedibili.

9 novembre 2020 Elisabetta Intini
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