La blatta americana (Periplaneta americana) fu introdotta nelle Americhe dall'Africa settentrionale, nella prima metà del 1600. Ben presto si adattò agli angoli più sporchi e inospitali di case e strade e divenne così diffusa da essere ben presto considerata uno dei più comuni infestanti.
Ora le ragioni genetiche della resistenza di questo insetto lungo fino a 5 cm, il più grande tra quelli che condividono l'habitat con l'uomo, sono più chiare: Shuai Zhan, scienziato dell'Institute of Plant Physiology and Ecology di Shanghai, ha sequenziato e studiato gli oltre 20 mila geni del Dna di questo insetto, scoprendone alcune porzioni all'origine della sua proverbiale resistenza alla sporcizia. Lo studio è stato pubblicato su Nature Communications.
Arsenale difensivo. La blatta americana ha geni che codificano per 150 recettori dell'olfatto e 500 del gusto, il numero più alto trovato in un insetto: questi sensi così potenti aiuterebbero lo scarafaggio a localizzare i cibi fermentati e andati a male di cui è ghiotto. Altri gruppi di geni parrebbero incaricati di rimuovere dall'organismo le tossine assunte col cibo; altri ancora sono coinvolti nel sistema immunitario e sembrano combattere le infezioni.
Non esageriamo... Un'ulteriore porzione di Dna sembra all'origine dell'abilità delle ninfe (ossia gli esemplari in stadio giovanile) di queste blatte di rigenerare gli arti spezzati, come fanno anche i moscerini della frutta.
Le più recenti analisi genetiche e filogenetiche (che riguardano cioè la classificazione delle specie) hanno messo il punto finale a un dibattito decennale. Dell’ordine cui appartengono gli scarafaggi (Blattodea) fanno ora parte anche le termiti, che una volta erano in un proprio ordine, gli Isotteri: secondo gli entomologi, questo non esiste più, sostituito dalla famiglia Termitidae.
I ricercatori negano così anche un diffuso luogo comune sulle blatte, ossia che possano resistere a una catastrofe nucleare: «Questa è un'esagerazione e non è mai stata provata», ha detto Zhan.