Qual è il posto più pericoloso del Pianeta? Forse il cratere di qualche vulcano, d'accordo, o il fondo della fossa delle Marianne. Ma se escludiamo questi casi estremi, qual è l'angolo della Terra nel quale nessuna potenziale preda vorrebbe mai dover mettere piede?
La risposta oggi sceglietela voi, ma se guardassimo all'intera storia della vita sulla Terra c'è un luogo sul quale tutti i paleontologi concorderebbero, in particolare dopo la pubblicazione del più grande studio paleontologico mai condotto sull'area: si tratta di quello che oggi è il deserto del Sahara, che 100 milioni di anni fa, durante l'era dei dinosauri, era, secondo il primo autore dello studio Nizar Ibrahim, «il posto più pericoloso della storia del Pianeta».
Cent'anni di fossili. Ibrahim e i suoi colleghi hanno visitato collezioni paleontologiche di tutto il mondo per raccogliere dati sui fossili ritrovati nei Kem Kem Beds, una formazione geologica del Marocco sudorientale al confine con l'Algeria che risale al Cretaceo e che contiene moltissime tracce fossili della fauna che popolava il continente africano durante l'epoca dei dinosauri. Il risultato è, stando a uno dei co-autori dello studio, «il lavoro più completo sui vertebrati fossili del Sahara da almeno un secolo a questa parte», che ci regala un ritratto dettagliato di un'area che oggi conosciamo come un deserto, ma che 100 milioni di anni fa era fertile e popolosa.
Il posto più pericoloso del pianeta. Il Kem Kem nel Cretaceo era un'area verde e attraversata da fiumi ricchissimi di pesci, che da soli sostenevano gran parte della fauna terrestre. E non parliamo di pesciolini rossi, ma di giganti come il celacanto, che già oggi può raggiungere 2 metri di lunghezza, e che al tempo era quattro o cinque volte più grosso.
Non sorprende quindi che anche i loro predatori fossero altrettanto enormi: nel Kem Kem si trovano tre tra i dinosauri carnivori più grossi di sempre, tra cui Carcharodontosaurus e Deltadromeus, entrambi lunghi circa 8 metri. E ovviamente non mancavano gli pterosauri, i rettili volanti, alcuni dei quali (per esempio gli Azhdarchidae) potevano raggiungere i 12 metri di apertura alare. Secondo Ibrahim, «un viaggiatore del tempo umano non durerebbe a lungo in un posto simile».