Oltre a essere la patria di Jessica Fletcher AKA La signora in giallo, il Maine è famoso anche per i suoi salmoni, che dall'Atlantico risalgono i corsi dei suoi fiumi in cerca dei luoghi dove riprodursi (e spesso morire). È da quasi due secoli, però, che quella che un tempo era una popolazione abbondante sta rimpicciolendo sempre più rapidamente, al punto che oggi in Maine il salmone è considerato a rischio critico.
Colpa di tante concause, come sempre, ma nel caso specifico colpa soprattutto delle tante dighe che controllano i fiumi dello Stato e che rappresentano una barriera alla migrazione dei salmoni. Quanto pesa la presenza di una diga nel corso di una migrazione? Per scoprirlo, un team dell'Università del Maine ha monitorato la situazione nei pressi di due dighe sui fiumi Penobscot e Kennebec, e pubblicato i risultati dello studio sul Canadian Journal of Fisheries and Aquatic Sciences.
Che spreco di energie! Le dighe prescelte, che si chiamano Milford e Lockwood, si trovano entrambe nell'ultimo tratto del rispettivo fiume, vicine all'oceano dal quale i salmoni arrivano ogni anno; sono quindi il primo ostacolo che incontrano nel loro viaggio migratorio, quando le loro riserve di grasso – che fornisce loro l'energia per arrivare a destinazione, produrre i gameti e riprodursi – sono ancora al massimo.
Il team ha misurato la percentuale di grasso corporeo di un branco di salmoni, prima dell'arrivo alla diga e dopo averla superata: quest'ultima operazione è possibile grazie a una serie di passaggi artificiali costruiti apposta per i pesci migratori, che aggirano la diga e permettono ai salmoni di ricongiungersi al corso del fiume. Si tratta comunque di deviazioni da un percorso più lineare, e infatti i pesci hanno perso dai 15 ai 20 giorni di tempo per percorrerle, e hanno consumato tra il 10 e il 20% delle loro riserve di grasso corporeo.
CORSA A OSTACOLI. Questo consumo di energie va inoltre moltiplicato per ogni diga che i salmoni incontrano: il rischio è che, una volta arrivati a destinazione, i pesci siano troppo stanchi per essere efficaci dal punto di vista riproduttivo. Particolarmente colpiti, secondo lo studio, sono quegli adulti che normalmente riescono a sopravvivere all'ordalia e a tornare all'oceano per poi ripresentarsi nelle acque dolci un anno dopo: sempre meno riusciranno in quest'impresa.
Impresa resa ancor più ardua dalla la temperatura del pianeta (e quindi quella dei fiumi) che continua a salire: i salmoni stanno meglio in acque fredde, e quando devono nuotare al caldo soffrono e, ancora una volta, consumano più energie. Insomma: i salmoni hanno un problema con le dighe, e hanno anche un problema con le soluzioni che ci siamo inventati per risolvere quel problema. L'unica possibilità, se non vogliamo vederli scomparire dalle acque del Maine, è facilitare ancora di più il loro accesso agli habitat riproduttivi, rendendo il loro viaggio il più semplice possibile.