No, anzi: nelle situazioni di pericolo respirano con maggiore efficacia. In presenza di un predatore, questi pesci della famiglia dei Tetraodontidae ingurgitano rapidamente grandi quantità d'acqua, tendendo la pelle elastica e ricca di spine fino a trasformarsi in grosse palle indigeste e velenose, grandi quattro volte il pesce originale. Passate ricerche sostenevano che in questi momenti, i "palloni gonfiati" trattenessero il fiato, inibendo di fatto la respirazione effettuata attraverso le branchie.
inverosimile. Ma i pesci palla mantengono l'ingombrante conformazione per diversi minuti, finché l'avversario non si leva di torno. Possibile che rimangano senza ossigeno così a lungo? Georgia McGee della James Cook University e Timothy Clark dell'Australian Institute of Marine Science hanno raccolto, per verificarlo, alcuni esemplari di pesce palla sellato (Canthigaster valentini), una creatura di 5 cm che vive presso la Grande Barriera Corallina.
esercitazione antinemico. Poco prima di finire in rete, i pesci presi di mira hanno nuotato per 5-10 secondi a tutta velocità, per poi gonfiarsi in posizione di difesa. Una volta arrivati all'acquario scelto per l'esperimento, i biologi hanno misurato la respirazione dei pesci prima, durante e dopo l'inflazione (l'atto di gonfiarsi). Prima di gonfiarsi, i pesci hanno accumulato acqua per 5-10 secondi, come avvenuto in mare; quindi, sono rimasti gonfi per un intervallo di tempo compreso tra i 3,7 e i 18 minuti (ma in media 10,1 minuti).
Altro che apnea. In questa fase, i "soggetti" hanno dimostrato di respirare perfettamente. Anzi, i livelli di ossigeno scambiati con l'acqua sono risultati 5 volte superiori alle situazioni di riposo. I pesci hanno anche mostrato una minima respirazione attraverso la pelle, in ogni caso - almeno in questa specie - del tutto accessoria rispetto a quella che avviene mediante le branchie.
I costi energetici. Inflazione e pre-inflazione si sono rivelate comunque molto impegnative dal punto di vista metabolico, e i pesci hanno impiegato in media 5,6 ore per riprendersi dalla fatica. Proprio nella fase di recupero, avvertono i ricercatori, potrebbero risultare più vulnerabili ai predatori.