Accorgersi di non essere a conoscenza di tutti i dettagli necessari per compiere una scelta è una dote fondamentale, per l'apprendimento, perché è la spinta a informarsi e recuperare i tasselli mancanti. È una dote dei Sapiens (pare) e di alcune grandi scimmie: si pensava che fosse una caratteristica tipica dei primati.
A quanto pare lo sanno fare anche i cani (Canis familiaris): in base a uno studio dei ricercatori dei DogStudies Lab del Max Planck Institute for the Science of Human History di Jena (Germania), i cani capiscono quando non hanno abbastanza informazioni per risolvere un problema. Potrebbero avere, cioè, abilità metacognitive, la capacità di sapere che cosa si sa (e cosa no). I risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Learning & Behavior.
Fammi dare un'occhiata... Per capire se e come i cani monitorino i propri processi cognitivi, gli scienziati hanno sistemato una ricompensa (un gioco o del cibo) dietro a uno fra due paraventi. In alcuni casi i quasi 50 volontari a quattro zampe potevano vedere dove veniva posto il premio, in altri no. Gli animali, nella seconda situazione, hanno controllato più spesso attraverso una fessura tra le due barriere: secondo i ricercatori, questo è un indizio del fatto che stessero cercando informazioni aggiuntive, per colmare una lacuna nella conoscenza.
Un'ulteriore verifica. Occorreva però escludere che stessero controllando più volte per istinto o per routine, e non perché si fossero effettivamente resi conto di "non sapere". Il team ha sfruttato allora il cosiddetto effetto passaporto, quel fenomeno per cui quando si cerca qualcosa di molto importante, come appunto un documento, si investono in quel compito più impegno e attenzione del solito. Lo fanno gli umani, ma anche le grandi scimmie quando cercano cibo che apprezzano particolarmente.
Problema aperto. Gli scienziati hanno pertanto differenziato le ricompense, ponendo dietro alle barriere cibo di maggiore o minore valore, e facendo attenzione alle differenze tra la ricompensa cercata (cibo oppure gioco).
Controllare più volte non ha garantito ai cani migliori chance di trovare il cibo più pregiato; i cani che hanno controllato, non hanno neppure trovato il bottino in un più alto numero di casi, né hanno manifestato di apprendere tra un tentativo e l'altro. L'effetto passaporto non sembra dunque essersi verificato.
I cani hanno però sbirciato più spesso quando dietro all'ostacolo c'era un giocattolo invece del cibo: in questo secondo caso, hanno dimostrato una certa flessibilità di preferenze e di attenzione dedicata. I risultati che dovrebbero escludere del tutto il comportamento di routine sono, dunque, un po' contrastanti.
Nuove ricerche dovranno verificare questa capacità canina, magari facendo appello non alla vista (un senso spiccatamente "umano") ma all'olfatto, lo strumento principe attraverso il quale i cani vedono il mondo.