Quando si usa la parola "estinzione" la prima cosa che viene in mente è sempre quella nota come K-T, o Cretaceo-Terziario o, se preferite, l'evento che 66 milioni di anni fa circa spazzò via quasi tutti i dinosauri (e non solo) dalla faccia della Terra. Eppure, rispetto all'estinzione del Permiano, la K-T sembra una passeggiata: quella avvenuta circa 251 milioni di anni fa è stata l'estinzione di massa più grave della storia del Pianeta, tanto da venire soprannominata in inglese "the Great Dying", la grande morìa. Quali furono le cause di una strage che, nel giro di poco più di due milioni di anni, provocò la scomparsa dell'83% di tutti i generi viventi?
Le risposte. Uno studio pubblicato da Cambridge University Press identifica i fattori principali dietro questa estinzione, concentrandosi in particolare sulle vittime principali dell'evento: le creature marine.
I numeri dell'estinzione del Permiano sono impressionanti: sparirono il 75% delle specie terrestri (e in particolare il 70% delle specie di vertebrati terrestri), si estinsero il 57% delle famiglie viventi, e ancora oggi si tratta della più grande estinzione conosciuta di insetti. A essere maggiormente colpite furono le specie marine: se ne estinse quasi il 90%, ed è proprio a loro che ha guardato il team di Cambridge per identificare le cause dell'evento. Che si possono riassumere in due parole che conosciamo bene: cambiamenti climatici.
In quel caso non non c'entravamo... 252 milioni di anni fa, infatti, in Siberia, una serie di eruzioni vulcaniche devastanti portarono, nell'arco di due milioni di anni, al rilascio di immense quantità di gas serra in atmosfera.
Pochi si adattarono. Il risultato fu un aumento delle temperature globali di circa 10 °C nel giro di qualche millennio: uno stravolgimento climatico al quale pochissime specie riuscirono ad adattarsi, e che può essere usato come riferimento anche per capire che cosa potrebbe succedere al nostro pianeta nei prossimi decenni. Il gruppo di ricerca ha analizzato i resti fossili di 1.283 generi di animali marini che si sono estinti nel Permiano: bivalvi, spugne, chiocciole, crostacei... tutti dotati di uno scheletro mineralizzato o di una conchiglia, cioè strutture che si possono datare con precisione.
Gli scienziati hanno incrociato i dati sulle specie marine con quelli ecologici e climatologici del periodo, e hanno identificato 12 possibili fattori di rischio legati a un aumento delle temperature globali. Tra questi, quattro si sono rivelati decisivi per la sopravvivenza o meno di una specie: dove viveva nella colonna d'acqua (se vicino alla superficie o in profondità), quanto era mobile, quanto alta era la biodiversità all'interno del genere e, in misura minore, la presenza o meno di strutture mineralizzate (scheletri o conchiglie, che aumentano il rischio di estinzione).
Vivere vicino alla superficie significa infatti doversi adattare a temperature più alte, mentre vivere in profondità, dove questo problema non c'è, vuol dire però doversi scontrare con la carenza di ossigeno, cioè una delle conseguenze dell'aumento delle temperature. Muoversi poco significa avere meno possibilità (o addirittura nessuna) di spostarsi se il proprio habitat diventa inospitale, mentre scheletri e conchiglie subiscono gli effetti dell'acidificazione delle acque. Acque più calde, minore ossigenazione, acidificazione: sono i tre fattori decisivi per l'estinzione del Permiano, ma sono anche condizioni che si presentano sempre più spesso negli oceani attuali – e potrebbero fare gli stessi danni fatti 250 milioni di anni fa.