105 mila foche uccise in Canada dall'inizio dell'anno. Ecco i perché di una caccia che suscita perplessità e sgomento.
Due attivisti durante una manifestazione a Vienna (Austria) contro la caccia alla foca. Foto e video della strage e le petizioni da firmare online si trovano sui siti di IFAW (in inglese) e LAV (in italiano). |
Ogni anno la “strage” si ripete. Il conto aggiornato delle foche uccise in Canada, solo nel 2005, è di oltre 105 mila. Il bilancio finale per il 2004 ammontava a 353 mila individui. E per fermare questa strage, l'IFAW (International Fund for Animal Welfare), sta conducendo una pressante campagna di informazione. Ecco alcuni dati per farsi un'idea di quanto sta succedendo.
Il governo canadese (Department of Fisheries and Ocean) ha autorizzato l'abbattimento di 975 mila foche di Groenlandia (Phoca groenlandica) nel triennio 2003-2005: il più grande massacro di questi pinnipedi. E così il pack, l'immensa distesa ghiacciata che fino agli inizi di marzo era punteggiata di batuffoli bianchi, le foche appena nate, è oggi costellata da scie di sangue e carcasse abbandonate. La quota di uccisioni stabilita per il 2005 è fissata a 319.500 esemplari.
Perché questo massacro? Secondo il governo canadese le foche, in soprannumero, danneggiano la pesca, “rubando” troppi merluzzi; in più, la caccia costituisce un'importante fonte di sostentamento per le popolazioni locali.
Numerose ricerche smentiscono entrambe le affermazioni. I merluzzi costituiscono il 3% della dieta delle foche, che per altro, si nutrono anche di pesci predatori di merluzzi; il sovrasfruttamento della pesca è, invece, un fatto ormai ben noto. Si stima che i cacciatori impiegati in questa attività nell'isola di Terranova, dove si svolge il 93% della caccia, siano meno di 4 mila su 500 mila abitanti e che i proventi di questa attività costituiscano meno dello 0,1% del prodotto interno lordo dell'isola.
Soldi sulla pelle degli altri. Cospicui profitti sono invece assicurati alle aziende che trasformano le pelli. Un'alternativa più redditizia potrebbe essere lo sviluppo di un turismo in cui le foche siano una risorsa da ammirare, il SealWatch. È la stessa via che si sta cercando di percorrere in Islanda con le balene: sostituire la caccia con il Whale Watching, secondo alcuni studi economici, più redditizio.
Le denunce degli osservatori riguardano anche la violenza e la crudeltà dei metodi di uccisione: un arpione “tradizionale”, lo hakapik, è percosso sulla testa della foca; raramente sono usate armi da fuoco. Nonostante le norme vigenti impongano di accertarsi della morte dell'individuo, prima di passare a quello successivo, o peggio, prima di scuoiarlo, spesso ciò non avviene: i cacciatori, se vogliono guadagnare, devono essere molto veloci.
Caccia crudele. Sebbene la stagione rimanga aperta dal 15 novembre al 15 maggio, è soprattutto da marzo che la caccia è particolarmente intensa: in questo periodo si trovano i cuccioli e le condizioni climatiche sono più favorevoli. Testimoni oculari raccontano di foche lasciate agonizzare sul ghiaccio, e ricerche veterinarie hanno trovato che il 42% dei corpi esaminati presentavano piccole o nessuna frattura: molto probabilmente queste foche erano coscienti quando scuoiate.
I cuccioli sono i più ricercati: il loro pelo è più morbido e sono più facili da catturare. Alla nascita hanno il mantello bianco candido e si nutrono del latte ricco di grassi della madre. A 12 giorni di vita, quando il pelo inizia a cambiare e a assumere toni grigio-argentati, sono abbandonati dalla mamma che va in cerca di un compagno per accoppiarsi. I piccoli non sono ancora capaci di nuotare né di alimentarsi, ma il grasso accumulato con l'allattamento gli consente di crescere. A questa età possono essere cacciati: per il governo canadese sono ormai adulti. Più del 95% delle foche uccise sono cuccioli di età compresa tra i 12 giorni e i 3 mesi. Le parti utilizzate sono il grasso e la pelle; la carne non è buona e non ha valore, perciò i corpi vengono abbandonati sul pack.
Rischio estinzione? L'allarme lanciato dalle associazioni riguarda anche i pericoli derivanti da una riduzione così drastica della popolazione, e la possibilità di portarla al rischio di estinzione. Occorrerebbero ricerche per disporre un corretto piano di abbattimento e studi scientifici sull'impatto ecologico di un tale intervento.
L'Italia è tra i maggiori trasformatori al mondo di prodotti di foca (pellicce, articoli di pelletteria, abbigliamento), in Europa siamo secondi solo ai danesi. Negli ultimi 3 anni l'import di prodotti di foca è stato di 8,4 milioni di euro, con un export di circa 16,2 milioni di euro. La LAV (Lega Antivivisezione) sta raccogliendo firme, al momento 250 mila, per chiedere al Governo Italiano di vietare l'importazione, la trasformazione e la vendita di prodotti di foca nel nostro Paese. Come già è avvenuto negli Stati Uniti, dove il divieto è in vigore dal 1972 col Marine Mammal Act, atto a tutelare tutti i mammiferi marini. Attualmente Messico, Olanda e Belgio si stanno muovendo nella stessa direzione.
(Notizia aggiornata al 2 maggio 2005)