Quando parliamo di estinzione, in particolare quella di alcune specie che hanno un alto valore simbolico (l'orso bianco, il panda, la balena, il delfino), ci concentriamo sempre sull'animale, quasi mai sulle conseguenze che avrebbe la sua scomparsa sull'ecosistema. Prendiamo a esempio gli elefanti africani: nel 2016 ne rimanevano poco più di 400.000 esemplari, contro i 700.000 di cinque anni prima, e la loro popolazione continua a calare; da tempo sappiamo quasi tutto sul loro ruolo ecologico, ma solo quest'anno, per la prima volta, un gruppo di ricerca dell'Università di Saint Louis ha provato a calcolare quale sarebbe l'impatto sul clima mondiale se il Loxodonta africana sparisse dalla faccia della Terra.
I risultati non sono rassicuranti, e sono legati proprio al ruolo ecologico dell'elefante, che bruca cespugli e piante, con una forte preferenza per quelle a crescita più rapida, che vengono divorate e anche calpestate durante i pasti; questo comportamento libera il terreno per altre piante, a crescita più lenta. Tutto questo lo sapevamo, ma il lavoro del team guidato da Fabio Berzaghi mette in evidenza un altro dettaglio: gli alberi a crescita lenta hanno il tronco più denso di lignina, il polimero che ricopre le pareti delle cellule vegetali e la cui struttura è composta da una "spina dorsale" di molecole a base di carbonio. Più lignina c'è nel tronco di un albero, dunque, maggiore è la sua capacità di assorbire carbonio, sequestrandolo dall'atmosfera, perciò maggiore è la sua efficacia nel combattere il cambiamento climatico.
Grazie alla loro opera di selezione, gli elefanti hanno, nel corso di millenni, contribuito a popolare le foreste africane di alberi secolari, con una straordinaria capacità di accumulare carbonio: semplicemente nutrendosi, gli elefanti africani contribuiscono a tenere pulita l'atmosfera - un lavoro, calcola il team, che equivale a qualcosa come 43 miliardi di dollari in opere e investimenti, per l'uomo. È dunque evidente che la scomparsa dell'elefante non solo causerebbe stravolgimenti epocali nelle foreste africane, ma ci porterebbe diversi passi indietro nella strada della lotta al cambiamento climatico.