La rana freccia (Phyllobates terribilis), un piccolo anfibio color giallo brillante che vive nelle foreste colombiane, è talmente letale che soltanto sfiorandola, gli indios ricavano dardi avvelenati da usare come armi.
La quantità di batracotossine, le sostanze velenose di origine vegetale, presente sulla pelle di ciascuno di questi animali è sufficiente a stroncare 10 esseri umani di 68 kg di peso. L'unica creatura resistente al veleno è una specie di serpente, e le rane non sembrano produrre antidoti a queste tossine. Come fanno, allora, a non avvelenarsi da sole?
Come agisce il veleno. Le batracotossine non sono prodotte direttamente dalle rane, ma ricavate dalla loro dieta (forse, da coleotteri di cui sono ghiotte). Gli esemplari allevati fuori dall'habitat originario sono infatti inoffensivi. Questi alcaloidi velenosi agiscono sui canali del sodio (i "cancelli d'accesso") delle cellule nervose, bloccando la trasmissione di stimoli dai nervi ai muscoli e impedendo a questi ultimi di rilassarsi. Uno dei primi sintomi è l'insufficienza cardiaca.
L'esempio del pesce. Anche le tetradotossine - le neurotossine dei pesci palla - agiscono sui canali del sodio, ma una mutazione negli amminoacidi modifica i canali del sodio di questi animali, che risultano così immuni al proprio veleno.
Gli scienziati della State University di New York hanno allora studiato gli amminoacidi delle rane freccia. In particolare hanno individuato cinque mutazioni naturalmente presenti in questi anfibi e le hanno replicate in muscoli di topo: quando tutte e cinque le mutazioni erano presenti, il campione è risultato totalmente immune al veleno.
Mistero svelato. I ricercatori hanno quindi testato una mutazione alla volta, fino a individuare in quella dell'amminoacido N1584T il segreto dell'immunità della rana. Sarebbe quindi una singola mutazione genetica ad annullare negli anfibi gli effetti letali del veleno: un'astuta e invisibile strategia evolutiva.