Certo è difficile addomesticare un gatto a “obbedire” pedissequamente ai nostri ordini (a meno che non si prenda un gatto-robot). Tuttavia a differenza di quello che si potrebbe pensare ci sono alcune cose che si possono insegnare al nostro gatto, soprattutto se si inizia da quando è piccolino usando un certo metodo, non certo quello delle botte o delle urla. Ma quello della comunicazione e dell’affettività come fa mamma gatta.
Anche se a prima vista, o conoscendoli poco, i gatti possono sembrare un po’ “freddi”, chi li conosce meglio sa che sanno essere molto teneri e affettuosi e richiedono in cambio la stessa “moneta”. E parlare con loro con il tono giusto al momento giusto può essere molto utile. E' fondamentale costruire con il gatto un buon rapporto, in questo modo sarà più facile farsi ascoltare quando è necessario.
L’educazione della mamma è fondamentale per la vita del micio: dalla madre infatti, imparano non solo cose fondamentali, come pulirsi, difendersi o cacciare, ma anche a rapportarsi con gli altri e a giocare senza fare male.
Per questo il gattino deve stare con lei più tempo possibile, almeno due mesi, ma anche tre. Perché in questo fondamentale periodo potrà insegnargli i comportamenti di base per la sua vita futura, dal controllo del morso a cosa mangiare a come procurarsi il cibo e molto altro.
Anche nel gioco e nell’interazione coi fratelli - nessun gatto nasce figlio unico - il piccolo impara a relazionarsi con gli altri e a giocare senza usare le unghie. È per questo che, in alcuni casi, un gattino orfano, allattato e allevato da un essere umano, da adulto potrebbe avere problemi di comportamento, per esempio essere troppo mordace, se non gli è stato insegnato a limitare la forza dei denti. (Sai quando è meglio adottare un gattino?)
Il gattino, e ancora di più un gatto adulto, arriva nella nuova famiglia e ha già un’esperienza e un suo carattere, può essere timido o coraggioso, tranquillo o agitato, affettuoso o riservato, ognuno è diverso dall’altro, come i bambini.
Bisogna accettarlo, non forzarlo, dargli tempo e spazio e cominciare fin da subito a parlargli. I gatti, infatti, comunicano molto con la voce. Un po’ alla volta, si creerà un linguaggio comune, come succede in famiglia, fatto di parole, di toni di voce, di modi di dire.
Bisogna poi coinvolgere il micio, sin da piccino, in giochi relazionali, ovvero fatti insieme al padrone - tiro della pallina, inseguimenti ecc - e nelle attività domestiche, a tutti i gatti, per esempio, piace molto “rifare il letto”. Sin dai primi tempi, quando il micino miagola, si deve rispondergli, cercando di capire il suo richiamo (che non è un unico miao, ma molti, tutti con significati diversi approfondisci).
E anche il proprietario, deve utilizzare parole e toni di voce diversi.
Inoltre, non si deve fare continuamente “pcc pcc” – il verso simile a un bacio per intenderci - al gatto e non si deve nemmeno chiamarlo per nome troppo spesso, altrimenti, smetterà di rispondere. Per ovviare al problema si potrebbe pensare di dare al nostro micio un vezzeggiativo, che sia diverso dal suo nome, che si usa solo per coccolarlo.
Parlare con il gatto è un ottimo modo per instaurare con lui un buon rapporto e, proprio come si fa con gli esseri umani o anche con i cani, è “buona creanza” salutarlo quando si entra o si esce, oppure chiamarlo quando è pronto “in tavola”.
Anche gli incoraggiamenti sono importanti: dire al gatto “bravo” quando fa la pipì nella cassettina le prime volte, aiuterà a fargli capire che è una cosa giusta. Lo stesso complimento può essere ripetuto quando afferra la pallina o cattura il topo (finto), per far associare al gatto il suono della parola “bravo” (il tono sereno e incoraggiante è importante più che la parola in sé) a un’azione soddisfacente, a qualcosa di ben fatto. Ma come fare per fargli fare qualcosa? Per esempio quando si vuole che scenda dal tavolo, gli si dice “dai, Tobia, vieni giù” poi lo si prende con dolcezza, lo si appoggia a terra. Quando l’animale scende da solo lo si gratifica con i complimenti.
Quando sta per fare un’azione rischiosa: come per esempio, fare un salto dalla libreria o avvicinarsi al cibo troppo caldo, come il pollo appena lessato ci si può rivolgere dicendo: “attento! stai attento, piano”. L’importante è non alzare la voce o strepitare, ma metterlo sull’avviso con toni pacati e ripetere più volte le stesse parole per evitare di spaventarlo e rischiare in questo modo che si faccia male. I gatti sono molto sensibili e suscettibili e basta davvero poco per spaventarli soprattutto se sono intenti a fare o scoprire qualcosa.
In caso di azioni proibite invece basta dire "no!" in modo secco e deciso. Può essere necessario se cerca di saltare sui fornelli accesi, se morde i fili elettrici etc... Dire "no" non esime naturalmente il padrone dal mettere in atto rimedi pratici, come tubi di plastica per contenere i fili elettrici o dall’intervenire prontamente per salvare il gatto.
Prima di tutto è importante sapere che per il gatto è perfettamente normale “farsi le unghie”, gesto che serve soprattutto a segnare il territorio (leggi anche cosa sono i feromoni) e un po’ per rilassarsi (spesso, in contemporanea, il gatto si stira).
È indispensabile dunque che abbia in casa vari tipi di tiragraffi, oggetti coperti di corda, oppure costruzioni in legno alte anche due metri, vere e proprie palestre per gatti, che si trovano nei negozi per animali (vedi). A qualche gatto invece piace il legno: tronchetti d’albero, o tavole di legno grezzo. Ma possono andare bene anche delle scatole di cartone, che i gatti amano “distruggere”.
Di solito, però, con grande rammarico dei proprietari spesso, il posto preferito è il divano. Difficile impedirglielo. Si può rimediare coprendo il divano con una tela robusta o appoggiando sulla parte prescelta un tiragraffi, sperando lo adoperi. Ma non lo si deve picchiare o sgridare. Semmai, lo si sposta dal divano, dicendogli “no”, accompagnandolo a uno dei suoi tiragraffi, e facendogli poi i complimenti se lo usa. Sai perché il gatto si fa le unghie?
Non bisogna sgridare il gatto che fa la pipì fuori della cassettina né, ancora peggio, strofinargli il muso nella pipì, gesto totalmente inutile (oltre che sgradevole per il micio). Ma è necessario indagare per capirne i motivi. Che possono essere diversi:
può essere causato da problemi fisici, come cistite o struvite (infiammazioni delle vie urinarie). È la prima cosa da controllare, portando il gatto e un suo campione di urine (conservato in frigorifero al massimo per 24 ore) dal veterinario. Queste malattie si curano bene, con i farmaci o con mangimi medicati, prescritti dal veterinario. Oppure può non volere adoperare la sabbietta se non è pulita. Un altro motivo può essere anche il tipo di cassetta usata. A molti gatti, per esempio, non piacciono le lettiera igieniche chiuse. O troppo vicine a fonti di rumore o disturbo. Spesso hanno anche le loro preferenze per il tipo di sabbia. E poiché ne esistono moltissime varietà, è necessario fare delle prove e trovare quella che piace al gatto. Anche i detersivi troppo profumati - e anche i deodoranti per coprire gli odori della sabbia - sono fastidiosi per alcuni gatti, meglio usare un detersivo neutro e poco profumato.
Se si hanno più gatti, ci vogliono più cassette, una a testa (se non addirittura 3 per approfondire clicca qui). Per evitare che il gatto prenda in “antipatia” la cassettina, è meglio non disturbarlo mai quando la usa o mentre sta scavando per fare un po’ di “pulizia”. E tanto meno bisogna usare la cassettina per catturare il gatto, per esempio per portarlo dal veterinario. Per evitare che l’animale associ al suo “bagnetto” delle esperienze negative e sia portato a non usarlo più.
Da ultimo, dopo aver escluso con sicurezza le motivazioni mediche o pratiche, si può pensare a problemi di stress o psicologici e parlarne con il veterinario che può eventualmente consigliare la visita di uno specialista, un comportamentalista dei gatti (per saperne di più sugli "psicologi" dei gatti).
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