L'antibiotico-resistenza, ossia la capacità di alcuni batteri di sopravvivere e moltiplicarsi causando un'infezione nell'ospite nonostante l'uso di antibiotici, è unanimemente definita "una delle principali minacce sanitarie al mondo": non tranquillizzano quindi i risultati di uno studio pubblicato su Frontiers in Ecology and Evolution, che ha rilevato geni di resistenza agli antibiotici nel microbioma della pancia di lemuri che vivono a stretto contatto con gli umani. «Anche se al primo impatto sono risultati preoccupanti, questa scoperta può invece avere anche dei risvolti positivi e permetterci di utilizzare la scienza del microbioma per affinare le cure veterinarie e le attività di conservazione della fauna selvatica», tiene a sottolineare Sally Bornbusch (Duke University, Durham, USA), coordinatrice dello studio.
Fatti più in là. Lo studio ha confrontato dieci diverse popolazioni di lemuri: sette selvatiche, due appartenenti a centri di ricerca in Madagascar e Stati Uniti, e una di animali da compagnia tenuti in Madagascar. L'antibiotico-resistenza sviluppata si è rivelata direttamente proporzionale alla vicinanza agli umani: negli esemplari che vivevano liberi non sono quasi stati rilevati geni di resistenza agli antibiotici, mentre in quelli dei centri di ricerca la loro presenza era 25 volte superiore, e in quelli tenuti come animali da compagnia 35 volte superiore.
Parte del motivo sarebbe l'assistenza veterinaria e la conseguente assunzione di antibiotici da parte degli animali: sia gli esemplari che vivono nei centri di ricerca, sia quelli tenuti come animali da compagnia, vengono curati quando contraggono un'infezione, al contrario dei loro simili che vivono in libertà e che non sono mai entrati in contatto con un farmaco.
Ambienti contaminati. Tuttavia alcuni esemplari che non avevano mai o quasi mai ricevuto cure veterinarie hanno ugualmente sviluppato geni di resistenza agli antibiotici, a dimostrazione che è sufficiente che i lemuri condividano l'ambiente con umani e animali domestici per entrare in contatto con oggetti contaminati da antibiotici.
L'influenza umana è pervasiva: allevamenti, pascoli e turismo sono attività connesse a un aumento nel numero dei geni di resistenza nelle popolazioni di lemuri che vivono in prossimità, geni che sono invece inesistenti negli animali che vivono in ambienti vergini.
La vicinanza agli umani determinerebbe anche il tipo di geni di resistenza acquisiti: in Madagascar i lemuri avevano sviluppato una resistenza maggiore agli antibiotici utilizzati per combattere la peste, mentre negli USA mostravano resistenza agli antibiotici comunemente prescritti in Nord America.
I rischi. «Al momento sappiamo che i batteri resistenti esistono, ma non sappiano se sono davvero dannosi per i lemuri», sottolinea Bornbusch.
È bene comunque ricordare che il contatto stretto tra animali selvatici e umani non è mai una buona idea per nessuna delle due categorie: l'attuale pandemia di covid è un perfetto esempio (forse) di quello che può accadere quando si superano i confini tra natura selvaggia e civiltà, e non è certo il caso di ripetere l'esperimento con un'altra zoonosi.