Animali

Animali rari: gli scienziati si autocensurino

Sempre più spesso chi traffica specie in via di estinzione utilizza gli articoli scientifici per localizzarle. Se vogliono proteggere queste creature, i ricercatori devono restare vaghi.

Quando l'abbiamo incontrata, un paio di anni fa, Sabrina Colombo, "ranger" al Marakele National Park e appassionata curatrice di LEO Africa, ci raccontava del difficile lavoro di contrasto al bracconaggio che fanno tutti i giorni lei e i suoi colleghi per proteggere, per esempio, il rinoceronte bianco (ma non solo). Ci ha sorpreso, in quell'occasione, la sua resistenza a lasciarci una serie di fotografie senza prima averle vagliate con grande attenzione, perché «i dettagli di quelle foto, che a noi avrebbero detto poco, potevano invece permettere a bracconieri e contrabbandieri esperti di quei luoghi di riconoscere l'area abitata dagli esemplari fotografati», mettendoli così inutilmente più a rischio di quanto già non fossero. Pur senza mettere in dubbio il discorso lo abbiamo ritenuto un "eccesso di prudenza", e tuttavia adesso dobbiamo ricrederci ed essere contenti di non avere insistito.

Un abitante del Marakele National Park. © LEO Africa

Fonti involontarie. Bracconaggio e contrabbando non mettono in pericolo solamente i grandi animali della savana. È facile rendersi conto anche da soli della portata del fenomeno: cercate su Google il nome di una qualche rara specie di geco, per esempio, e insieme ai rimandi a Wikipedia e altri articoli scientifici vedrete apparire offerte di vendita con incluse le spese di spedizione.

È la dura realtà con la quale stanno facendo i conti i biologi e tutti i ricercatori e naturalisti impegnati nello studio di animali a rischio estinzione: siamo ben oltre la prudenza a pubblicare qualche foto.

Bracconieri laureati. Sempre più spesso, chi contrabbanda specie rare si basa infatti sulle pubblicazioni scientifiche per scoprire dove vivono gli animali e molti dettagli utili sulle loro abitudini, ossia le informazioni "giuste" che li aiuteranno a catturarli e mantenerli. Come sottolinea un articolo pubblicato su Science, sono molti gli animali rari che hanno accusato i contraccolpi della pubblicazione di notizie sulla loro scoperta.

Quando nel 2012, fu diffuso un articolo scientifico che descriveva il lantanoto del Borneo (Lanthanotus borneensis), uno schivo rettile semiacquatico che vive solo nella parte settentrionale dell'isola, bastò appena un anno per vedere il varano uscire, mediante canali illegali, dal suo areale (anche se la località esatta della scoperta non era stata diffusa).

L'Uakari calvo rosso (Cacajao calvus rubicundus), una rara scimmia delle foreste pluviali del Rio delle Amazzoni, è minacciato di estinzione, per via della caccia di frodo e della deforestazione. Altri animali dall'aspetto mitologico © Klickshiff, Flickr

Turisti invadenti. E non c'è solo il rischio del contrabbando: anche alcuni appassionati di natura troppo zelanti vanno a caccia di tracce di rare specie da fotografare, per proprio piacere o per pubblicare le fotografie sulle riviste scientifiche.

La loro presenza finisce col disturbare gli animali, distruggendone i microhabitat o diffondendo malattie - come la chitridiomicosi, un fungo che divora la pelle delle salamandre, arrivato dall'Asia attraverso il commercio internazionale di anfibi.

Tienilo per te. Pertanto, continua l'articolo (dal titolo inequivocabile di Do not publish, non pubblicare), è necessario sacrificare parte della trasparenza richiesta dalle pubblicazioni scientifiche per evitare di fornire ai male intenzionati troppi strumenti per i loro traffici, chiedendosi di volta in volta se quel dettaglio che si sta diffondendo possa rendere l'animale più vulnerabile.

Già da diverso tempo paleontologi e archeologi mantengono un certo riserbo sulle località esatte delle loro scoperte, per tenere i tesori del passato al riparo dai tombaroli. Ai biologi toccherà fare altrettanto.

30 maggio 2017 Elisabetta Intini
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