Animali

Gli animali abitudinari sono più a rischio (e la colpa è nostra)

L'attività umana mette a rischio tutti gli animali che tendono a tornare sempre negli stessi luoghi per mangiare e riprodursi.

Site fidelity, che letteralmente significa "fedeltà al sito" o al "luogo", è un'espressione che si usa in etologia che indica il comportamento di tutti quegli animali che, anno dopo anno, ritornano sempre negli stessi luoghi per riprodursi, per trovare il cibo o per fare il nido alla fine di una migrazione. È un'abitudine molto diffusa tra gli animali: pensate ai salmoni, o a tutti gli uccelli che ogni anno cercano casa negli stessi luoghi.

Rischioso. È anche, purtroppo, un'abitudine pericolosa, almeno in quest'epoca segnata anche dalle attività umane: lo afferma uno studio pubblicato su Frontiers in Ecology and Environment che ha analizzato una grande quantità di letteratura scientifica sull'argomento, scoprendo che tutti gli animali "fidelizzati" a un luogo soffrono, e in certi casi rischiano addirittura di sparire.

Essere fedeli a un luogo – o, se preferite, essere abitudinari – è un vantaggio notevole in termini di sopravvivenza. Una volta che un animale scopre un'area adatta per nidificare, nutrirsi o riprodursi, e comincia a usarla regolarmente, impara anche a conoscerla, e spreca meno energie a cercare il cibo e a tenersi alla larga dai predatori. Questo discorso, però, come spiega lo studio, era valido fino a quando l'influenza umana sull'ambiente era ancora limitata e i luoghi "fidelizzati" rimanevano sostanzialmente intatti per anni.

L'effetto del clima. Oggi la situazione è molto diversa, perché la forma e l'estensione degli ecosistemi cambiano in continuazione e quella che un anno è, per esempio, una perfetta zona di nidificazione potrebbe, appena un anno dopo, trasformarsi in un campo coltivato o in un parcheggio. Inoltre i cambiamenti climatici stanno modificando l'aspetto del paesaggio più o meno in tutto il mondo, e costringendo gli animali ad adattarsi: quelli che preferiscono tornare sempre negli stessi luoghi ne stanno soffrendo.

Lo studio cita una serie di casi che dimostrano la tesi di fondo. Nel Wyoming, per esempio, lo Stato americano dove si trova l'università che ha compiuto lo studio, sono stati aperti negli ultimi anni molti impianti di estrazione di gas naturale, che spesso si trovano nell'areale del cervo mulo (Odocoileus hemionus), una specie endemica del Nord America. Il cervo mulo è molto abitudinario, e piuttosto che abbandonare del tutto un'area preferisce spostarsi quel tanto che basta da tenersi alla larga dai macchinari.

I problemi. Questo però gli crea parecchi problemi, perché le aree di estrazione sono molto degradate: le popolazioni che vivono nei loro pressi hanno visto, negli ultimi anni, un crollo numerico del 40% circa.

In altri casi sono i cambiamenti climatici a disturbare gli animali abitudinari, come per l'elefante marino settentrionale (Mirounga angustirostris), colpito nei decenni scorsi dagli effetti di El Niño. Secondo lo studio, comunque, anche gli animali più abitudinari possono sviluppare strategie per adattarsi alle nuove condizioni: il nostro compito è quindi quello di preservare le popolazioni esistenti nell'attesa che trovino la giusta risposta alle nuove sfide.

22 gennaio 2022 Gabriele Ferrari
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