Digital Life

L'Internet delle emozioni

Una nuova generazione di software riuscirà a leggere e interpretare le nostre emozioni. Per realizzare macchine più simili a noi, e per migliorare il nostro "essere consumatori". C'è anche qualche aspetto positivo, in tutto ciò...

Immaginate un amico virtuale in grado di leggervi nel pensiero, di capire al volo di che umore siete e di dire la cosa giusta al momento giusto: un campione di empatia, sempre sintonizzato sulla vostra lunghezza d’onda.

Potrebbe essere un assistente domestico come Jarvis, il maggiordomo elettronico di Iron Man, ma anche una versione evoluta di Siri (iPhone), di Cortana o di un altro dei personaggi digitali che abitano i nostri smartphone.

Potrebbe ridarvi la carica quando siete stanchi facendovi ascoltare un pezzo della vostra band preferita, oppure proporvi un bel film romantico quando siete travolti da una nuova storia d’amore.

Siamo tutti consumatori. Ma potrebbe anche diventare invadente e fare leva sulle vostre debolezze per farvi acquistare prodotti e servizi. Un esempio? Dopo le feste siete ingrassati di qualche chilo (ve lo ha appena detto la bilancia collegata al braccialetto per il fitness): una "seduta" in palestra non può fare che bene... E qui (clicca "qui") c'è un buono sconto per la palestra sotto casa.

Potrebbe anche rendersi conto di avervi innervositi con le sue critiche e suggerirvi qualche integratore per gestire lo stress.

Sentimenti digitali. Tutte le tecnologie necessarie a realizzare questi scenari sono già disponibili: benvenuti nella nuova Internet delle emozioni (evoluzione dell’Internet delle Cose), un sistema di algoritmi capaci di interpretare i segnali fisiologici del corpo umano - l’espressione del volto, il tono della voce, il ritmo cardiaco, la sudorazione... - e di tradurli in emozioni, sentimenti, percezioni.

A questa nuova frontiera i big della tecnologia credono per davvero. Apple, per esempio, ha recentemente acquisito Emotient, azienda leader nelle tecnologie di riconoscimento facciale. La prossima versione di Siri sarà quindi davvero capace di darci suggerimenti su misura, non solo come consumatori ma anche come portatori di emozioni?

Simulacri. Tra esperti e opinionisti, su Internet (quella solita di tutti i giorni) la discussione impazza. Qui ne citiamo una, "attizzata" da John Havens (esperto di intelligenza artificiale) su Mashable, che apre il tema spinoso delle implicazioni etiche e dei limiti di una Internet delle emozioni: "i sentimenti non sono personalizzabili", chi deciderà che cosa è triste e che cosa no? Gli investitori pubblicitari?

... clicca qui per configurare i sentimenti...

Il vero problema è che le macchine e gli algoritmi non saranno in grado di provare emozioni, ma solo di emularle per far sì che la loro interazione con gli esseri umani dia una risposta positiva. In altre parole, che ne manipoli il comportamento.

«È lo sviluppo naturale di ciò che i pubblicitari fanno da anni», interviene John Markoff (di relazioni uomo-macchina) nella discussione: «consentirà loro di conoscerci meglio di quanto ci conosciamo noi stessi.»

Chi ha paura dell’Intelligenza Artificiale? Ma per quanto discutibili e discussi, gli studi in questo campo proseguono e, anzi, sono ben foraggiati di denaro. Secondo Havens per almeno due ragioni.

La prima riguarda lo sviluppo degli algoritmi di analisi delle emozioni, che devono essere allineati ai valori propri di ogni singolo essere umano con il quale entreranno in contatto: il rischio, altrimenti, sarebbe quello di realizzare sistemi capaci di deprimere persone brillanti o di stressare i depressi. In più, questi studi possono aiutarci a conoscerci meglio: per "spiegare" alle macchine il significato dei nostri comportamenti, dobbiamo proprio conoscerli bene, comportamenti e significati. Un passo in avanti di enorme valore per l'umanità.

Non solo privacy. La partita insomma è appena cominciata e questa volta a rischiare grosso sono soprattutto le aziende: se tradiscono i consumatori facendo un uso improprio delle informazioni, soprattutto di queste informazioni, possono perdere tutto.

La questione va ben oltre la privacy: qui si tratta di affidare a un software la parte più intima di noi stessi, sentimenti ed emozioni. «I sistemi cognitivi devono essere assolutamente trasparenti su come ragionano», afferma Rob High, responsabile tecnologico di Watson Solution (IBM), secondo il quale questa è l’unica strada percorribile per guadagnarsi la fiducia di consumatori-individui.

Angeli custodi digitali. La pensa così anche Michelle Finneran Dannedy, responsabile della privacy per CISCO, che auspica la realizzazione di un angelo digitale, un assistente personale elettronico in grado di vegliare sui dati di ogni singolo consumatore-individuo.

Completamente personalizzabile, dovrebbe bloccare tutte le richieste improprie garantendo nel contempo il flusso di informazioni interessanti e rilevanti per noi: dovrebbe garantire la privacy e darci il controllo completo dei nostri dati in modo facile e intuitivo.

Anche servizi di questo tipo, benché in fase embrionale, esistono già: per esempio DataCoup, myWave o digi.me, che permettono di capire quali informazioni che ci riguardano sono in giro per la rete, come e se bloccarle oppure venderle per guardarci dei soldi.

Accelerare la transizione? Per rendere però davvero liberi gli utenti-consumatori occorre dare loro la possibilità di esprimere desideri ed emozioni in forma digitale, così che possano essere raccolti, classificati e persino compresi fino in fondo dalle intelligenze artificiali.

Ben vengano perciò i massicci investimenti in questi studi, altrimenti, commenta Havens con una nota di amaro realismo, «saranno i big della pubblicità e della tecnologia a decidere che cosa ci piace» in base a una serie di impostazioni predefinite.

Sarà "spiacente, intelligenza non configurabile".

4 febbraio 2016 Rebecca Mantovani
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