Scienze

Il più antico fossile di Homo habilis mai ritrovato

I primi rappresentanti del genere Homo vivevano in Africa 500 mila anni prima di quanto ipotizzato finora, e condividevano alcune somiglianze fisiche con gli ultimi esemplari di Australopithecus, come "Lucy". La scoperta in tre diversi studi appena pubblicati su Science e Nature.

Il genere umano comparve in Africa 2,8 milioni di anni fa, mezzo milione di anni prima di quanto creduto finora. La scoperta che ridisegna la storia dei nostri antenati si basa sull'analisi di un fossile parziale di mandibola di ominide - presumibilmente di Homo habilis - ritrovato nel 2013 in Etiopia, nell'area di Ledi-Geraru (nella regione di Afar).

Collegamento. Fino ad oggi, la più credibile evidenza scientifica del genere Homo risaliva a 2,3-2,4 milioni di anni fa. Ma l'analisi del reperto evidenzia la coesistenza, nello stesso osso, di tratti in comune con gli ultimi rappresentanti del genere Australopithecus e di caratteristiche specifiche del genere Homo: il fossile è in sostanza un perfetto esempio di "reperto di transizione" che descrive l'esordio di una specie arcaica della stessa famiglia dei Sapiens, quella dell'Homo habilis.

Le fonti. L'importante scoperta è illustrata in due diversi studi appena pubblicati su Science. Il primo, condotto da Erin N. DiMaggio del dipartimento di Scienze della Terra alla Penn State University, ha stabilito la datazione precisa del fossile (catalogato con il numero LD 350-1) analizzando il terreno in cui si trovava.

L'area di Ledi-Geraru (Etiopia) dove si sono svolti gli scavi. © Erin DiMaggio, Penn State

l'età delle rocce. Datare direttamente reperti così antichi è impossibile: per stabilire quando furono depositati, i geologi si affidano alla datazione degli strati di terreno collocati appena sopra e appena sotto il fossile. «Abbiamo usato diversi metodi di datazione, incluse le analisi radiometriche degli strati di ceneri vulcaniche attorno al reperto, e tutte mostrano che il fossile ha un'età di 2,8-2,75 milioni di anni» dice DiMaggio.

La tecnica. La datazione radiometrica si basa sulla misura della radioattività residua di rocce e fossili: in questo caso è stata misurata la presenza degli isotopi radioattivi di argon40 e argon39, di cui si conosce il tempo di dimezzamento della massa.

Circostanze fortunate. In molte aree dell'Afar, le rocce comprese tra i 3 e i 2,5 milioni di anni fa sono state mangiate dall'erosione. Quelle di Ledi-Geraru risultano esposte e analizzabili per via delle faglie formatesi dopo che le rocce sedimentarie si depositarono. Allo stesso periodo della mandibola risalgono altri reperti trovati nell'area: fossili di antilopi ed elefanti preistorici, di una specie di ippopotamo, di coccodrilli e di pesci.

Paesaggio. L'habitat di questo ecosistema era simile a quello di alcune odierne aree africane come quella del Serengeti: praterie alternate ad arbusti, con macchie di foreste a gallerie chiuse sopra a fiumi o paludi. Secondo alcune teorie un inaridimento dell'habitat fu all'origine dei passaggi evolutivi che portarono alla nascita dell'Homo habilis.

«Nell'antica fauna di Ledi-Geraru ci sono segnali di questa aridità» commenta Kaye E. Reed, coinvolto nello studio. «Ma è ancora troppo presso per stabilire se i cambiamenti climatici furono responsabili dell'origine del genere Homo».

Le parti ritrovate della mandibola LD 350-1. © William Kimbel

vicini, ma diversi. Senz'altro quello del fossile di Ledi-Geraru era un habitat più aperto di quello della località etiope di Hadar, dove visse Lucy, il più famoso esemplare fossile di Australopithecus. Ma il reperto LD 350-1 (che comprende la parte inferiore sinistra di una mandibola, insieme a 5 denti) condivide comunque con il cranio di Lucy alcuni tratti, come il mento sfuggente. I piccoli molari, i premolari simmetrici e la mandibola proporzionata sono invece caratteristici del genere Homo, meno "scimmiesco", di quello degli australopitechi.

Sono le conclusioni di un secondo studio sul fossile condotto dai ricercatori dell'Università del Nevada e della Arizona State University.

Il tassello mancante. «La mandibola di Ledi restringe il divario evolutivo tra l'Australopithecus e i primi esemplari di Homo» dice William H. Kimbel, tra gli autori della ricerca.

focus.it - Breve storia del genere Homo
L'albero genealogico dell'Uomo (riadattato dallo Smithsonian's National Museum of Natural History © Smithsonian Institution

«I fossili di Homo più vecchi di 2 milioni di anni sono incredibilmente rari. Poter dare un'occhiata a una delle prime fasi dell'evoluzione dei nostri antenati è particolarmente eccitante» aggiunge il collega Brian A. Villmoare.

Come doveva essere. La somiglianza tra i primi esemplari di Homo habilis e gli ultimi australopitechi è evidenziata anche da un terzo studio appena pubblicato su Nature e non collegato a quelli di Science.

Nello studio di Nature Fred Spoor dell'University College London ha operato una ricostruzione virtuale di un altro famoso fossile di Homo habilis: quello della Gola di Olduvai, in Tanzania.

A sinistra, le ossa dell'ominide di Olduvai: parte della mandibola, parte del cranio e le ossa di alcune dita. A destra, la ricostruzione virtuale del suo cranio. © Left: John Reader; Right: Philipp Gunz, Simon Neubauer & Fred Spoor

La giusta età. Il reperto consiste in un cranio parziale e in alcune ossa di una mano di quello che fino a poco tempo fa era considerato il più antico esemplare di genere Homo mai ritrovato. Ma la mandibola parzialmente deformata del fossile rendeva difficile compararla con altri reperti. La ricostruzione virtuale dell'intero cranio suggerisce che il fossile abbia 2,3 milioni di anni e non 1,8 come precedentemente ipotizzato.

Simile a lucy. Sarebbe quindi più recente della mandibola di Ledi, ma sembrerebbe più primitivo dei crani di Homo erectus e Homo sapiens, e simile soprattutto all'Australopithecus afarensis (la specie di "Lucy"). Un po' come il fossile LD 350-1.

Le differenze tra le prime specie di Homo - conclude lo studio - sono meglio ravvisabili nella forma della mandibola, che in quella del cranio.

4 marzo 2015 Elisabetta Intini
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