Salute

Virus Ebola, l'incredibile storia della sua scoperta

Nel 1976 il virus letale - ancora senza nome - fu incautamente maneggiato da un gruppo di giovani, coraggiosi e all'epoca ancora inesperti ricercatori belgi. Che oggi, davanti alla virulenza dell'epidemia, non si capacitano dei rischi che corsero.

Ogni volta che sente una notizia su Ebola, Peter Piot avverte un brivido lungo la schiena. Nel 1976 Piot era un giovane ricercatore appena 27enne quando il temibile virus - all'epoca senza nome - arrivò per la prima volta in Europa per essere studiato. Era il 29 settembre e il virus avveva viaggiato su un volo passeggeri proveniente da Kinshasa, Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo).

come un bagaglio qualunque. Peter e due giovani colleghi, che all'epoca lavoravano in un laboratorio dell'Istituto di Medicina Tropicale di Anversa, Belgio, furono i primi a maneggiare i campioni di sangue infetto, prelevati da una suora fiamminga contagiata dalla febbre emorragica mentre si trovava in missione nello stato africano. Le provette avevano volato in un comune thermos di plastica pieno di ghiaccio, e una di queste, nel trambusto del viaggio, si era rotta (il virus Ebola può viaggiare in aereo? Leggi qui).

Il libro di Piot che racconta la scoperta del virus Ebola. | Amazon

Altri tempi. Nulla si sapeva, allora, sulla pericolosità del virus, né sulle sue modalità di trasmissione, come racconta Piot in un'autobiografia (No Time to Lose: A Life in Pursuit of Deadly Viruses), ripresa in un articolo di Business Insider.

I tre si erano attrezzati per fronteggiare organismi come quelli responsabili della salmonella, o della tubercolosi, e non avevano certo in un laboratorio di massima sicurezza come quelli che siamo abituati a vedere in questi giorni al telegiornale. Pensavano di avere tra le mani la causa di una "qualche forma di febbre gialla con manifestazioni emorragiche", e l'unica precauzione che presero fu quella di indossare guanti di lattice al momento di estrarre le provette dal recipiente.

Mai visto prima. Senza neanche una maschera a coprire il volto, i tre isolarono il virus, iniettandolo in alcune cavie da laboratorio. Dalle analisi del sangue e delle colture cellulari delle cavie risultò che non si trattava di febbre gialla né di febbre di Lassa, un'altra febbre emorragica virale.

In questa foto del 1976, una delle suore olandesi della missione in Zaire davanti alle tombe dei colleghi e pazienti morti nella prima epidemia (conosciuta) di Ebola. | Lyle Conrad/CDC

Il capo di Piot, Stefaan Pattyn, che nel frattempo aveva identificato nel villaggio di Yambuku (Zaire) il presunto luogo d'origine del focolaio, iniziò a pensare che si trattasse di una nuova, rara infezione, che il laboratorio belga non era attrezzato ad affrontare (leggi anche: il serbatoio naturale di Ebola e altri virus).

Da trasferire. L'Organizzazione Mondiale della Sanità ordinò che i campioni venissero immediatamente trasportati in uno dei pochi laboratori adatti, quello di Porton Down, in Inghilterra, e da lì spediti al Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie (CDC) ad Atlanta, ancora oggi punto di riferimento per la lotta al virus Ebola (ad Atlanta sono stati curati, e sono guariti, anche i due operatori umanitari americani contagiati dal virus in Liberia).

L'ennesima imprudenza. Ma prima di inviare i campioni a chi di competenza, Pattyn prese una decisione folle: quella di tenerne alcuni in laboratorio per proseguire le analisi, per non vedersi sottrarre l'onore della scoperta. Mentre preparava nuove colture cellulari, Pattyn fece cadere una provetta a terra, sporcando di sangue infetto le scarpe di un collega. Il pavimento fu disinfettato, le scarpe buttate e le cellule infette finalmente esaminate al microscopio: quello che i ricercatori videro fu il più lungo virus mai osservato, un microrganismo a forma di verme simile a un altro virus conosciuto, il Marburg, che aveva ucciso diversi ricercatori tedeschi 9 anni prima, in un incidente in laboratorio.

Un'immagine del virus Ebola in una delle sue prime osservazioni, nel 1976. Le sue dimensioni e la somiglianza con il temibile virus Marburg convinsero Pattyn della gravità della situazione. © Institute of Tropical Medicine Antwerp

La prova dei fatti. Solo allora i ricercatori, rimasti miracolosamente indenni dal contagio, realizzarono quanto fossero stati avventati. Tutti i campioni a disposizione furono spediti ad Atlanta, da dove arrivò presto la conferma che non si trattava di Marburg, ma di un nuovo virus letale. Quell'anno, nel 1976, Ebola uccise 280 persone nell'ex Zaire, l'88% dei contagiati. L'infezione prende il nome proprio da quella prima, drammatica strage: Ebola è il nome della valle dove scoppiò l'epidemia.

Articolo aggiornato il 13 ottobre 2016. Una prima versione riportava, scorrettamente, l'affiliazione di Piot e colleghi all'Università di Anversa.

22 agosto 2014 Elisabetta Intini
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