C'è chi inorridisce solo all'idea di sfiorare una fettina di lardo. E chi dei cibi ipercalorici sembra non riuscire a fare a meno. La discriminante fra i due commensali potrebbe essere l'iperattività di un gene, il CD36, che regola nostra sensibilità ai cibi grassi.
Un gruppo di ricercatori della Washington University School of Medicine ha scoperto che sulla lingua, oltre ai recettori per il dolce, il salato, l'amaro, l'acido e l'umami - il gusto saporito - esistono anche papille specializzate nell'identificazione dei grassi nel cibo. Il sesto gusto, in altre parole, sarebbe il "fat". A regolare la sensibilità dei recettori agli alimenti più unti sarebbe un gene, appunto il CD36: quando è attivo, vengono sintetizzate grandi quantità di proteine che localizzano i grassi e quindi si è più "attenti" a quanti se ne ingeriscono. Le persone che possiedono questa variante fortunata, insomma, riescono più facilmente a darsi una regolata.
Chi invece presenta una variante ipoattiva del gene, degli alimenti grassi non si sazia mai: il CD36 è più "pigro" e vengono di conseguenza prodotte meno proteine recettive ai grassi. Si tende quindi a ingerirne in maggiori quantità per soddisfare questo gusto in perenne ricerca di cibo spazzatura. Il 20% delle persone obese, secondo gli esperti, presenterebbe la variante "scansafatiche" del gene sotto esame.
Scopri perché gli acidi grassi saturi fanno male
I ricercatori hanno sottoposto a 21 partecipanti con indice di massa corporea BMI (body mass index) uguale o maggiore a 30, considerati obesi, la degustazione di tre tipi di olio, uno dei quali particolarmente ricco di lipidi. Registrando i diversi livelli di proteine CD36 nei soggetti e la relativa sensibilità nel distinguere l'olio più grasso, gli scienziati hanno concluso che chi presenta livelli di proteine CD36 più alte è 8 volte più sensibile al gusto "fat" rispetto a chi ne possiede la metà. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica Journal of Lipid Research.
Patatine fritte: ecco perché sono come una droga
Ad influenzare la nostra voglia di cibi grassi non sono solo componenti genetiche. Studi precedenti compiuti su animali lasciano intuire che più si indulge in alimenti poco sani, più il gene CD36 si "addormenta", meno proteine detective si sintetizzano. Dunque, più lipidi si ingeriscono, più se ne ingeriranno, in una spirale che conduce al sovrappeso e a tutte le sue spiacevoli conseguenze. «Abbiamo individuato una possibile ragione all'origine della variabilità con cui le persone percepiscono i grassi nel cibo» ha spiegato Nada Abumrad, a capo della ricerca «in futuro dovremo determinare se la nostra abilità nell'individuare i grassi nel cibo influenzi anche l'assunzione di alimenti ipercalorici, cosa che avrebbe un chiaro impatto sull'obesità».
Non tutti i grassi fanno male allo stesso modo: ecco i grassi che rendono più grassi