Salute

Che cos'è il fenomeno o sindrome di Lazzaro

Sono pochi i casi documentati nella letteratura medica, ma probabilmente il "fenomeno di Lazzaro", quando il cuore ricomincia a battere dopo che un paziente è stato dichiarato morto, è meno raro di quel che si pensi. Quasi mai però c'è il lieto fine di una "resurrezione" vera.

Si può “resuscitare” alcuni minuti dopo essere morti? La risposta breve è “sì”, anche se – come si vedrà – si tratta di un ritorno in vita assai meno spettacolare di quello che vorremmo. La risposta lunga, invece, obbliga a utilizzare molte espressioni tra virgolette.

A richiamare l’attenzione su questa apparentemente incredibile possibilità è stato di recente un articolo pubblicato sulla rivista dello Smithsonian, che passa in rassegna i casi documentati nella letteratura scientifica in cui un fenomeno del genere si sarebbe verificato.

Non proprio come Lazzaro. Intendiamoci. Anche se è stato battezzato “fenomeno (o sindrome di) Lazzaro”, ovviamente dalla figura di Lazzaro di Betania, che secondo i Vangeli Gesù ha resuscitato dopo quattro giorni dalla morte, qui si parla dei casi (molto rari) in cui il cuore di una persona ha ricominciato spontaneamente a battere dopo pochi minuti che erano cessate le manovre per rianimarla ed era stata dichiarata morta.

Nella maggior parte dei casi, circa due terzi, la persona è poi morta comunque nei giorni o talvolta nei mesi seguenti per le conseguenza della patologia che aveva portato alla prima morte “apparente”. In una minoranza di casi, però, è tornata alla vita normale.

I casi. Ad accomunare tutti i casi documentati in letteratura è che il “ritorno in vita” è avvenuto dopo manovre di rianimazione cardiopolmonare. Il fenomeno è stato riportato la prima volta nella letteratura scientifica su Lancet nel 1982.

Nel 1993, segnalando il caso di un uomo di 75 anni il cui cuore aveva ricominciato a battere 5 minuti dopo che erano stati sospesi gli interventi di emergenza, si parlato ufficialmente di “fenomeno di Lazzaro”.

Successivamente, spulciando negli archivi delle riviste mediche, un medico anestesista interessato all’argomento, ha trovato 38 casi simili, che ha descritto in un articolo del 2007: la maggioranza di loro è morta poco dopo comunque, ma 14 delle persone cui è capitato se ne sono poi tornati a casa vivi e vegeti. A quanto pare, gli esiti positivi non erano collegati né alla durata della rianimazione, né al tempo trascorso prima del “ritorno in vita”.

Raro, ma non rarissimo. Da quando sono emersi questi casi, sono aumentate, anche se di poco, le segnalazioni nella letteratura. Il sospetto degli autori che ne scrivono è che sia un fenomeno più frequente di quanto si creda nelle sale di rianimazione, ma di cui si parla poco in modo ufficiale.

Per esempio, in un sondaggio su medici francesi dell’emergenza in servizio su ambulanze, quasi la metà ha dichiarato di avere assistito al fenomeno in prima persona, quasi tutti hanno dichiarato di esserne stati sorpresi o imbarazzati, ma circa il 60 per cento ha detto di non credere che anche un ritorno momentaneo della circolazione possa portare a un recupero completo.

Uno dei motivi per cui se ne trovano poche tracce in studi ufficiali - suggerisce chi se ne è occupato - potrebbe essere la difficoltà di descrivere il fenomeno da un punto di vista scientifico. E anche difficoltà più “pratiche”, per esempio dover dire ai parenti che il congiunto “sembrava” morto, ma in realtà non lo era davvero, e che il suo cuore ha ricominciato a battere, anche se solo per pochi minuti. Facile esporsi, in simili circostanze, ad accuse di non aver fatto bene il proprio lavoro.

Perché succede? Tra le ipotesi, c’è quella che il fenomento possa avere a che fare con le stesse manovre di rianimazione: la ventilazione eccessiva del paziente può fare aumentare la pressione nei polmoni, e diminuire l’afflusso di sangue al cuore, che a sua volta potrebbe per questo motivo potrebbe andare ancora più in crisi, fino magari all’arresto cardiaco. Con la cessazione della rianimazione, quando la pressione nei polmoni torna normale, il sangue che rifluisce verso il cuore potrebbe tornare a circolare più facilmente, dando il via di nuovo al circolo.

Altra ipotesi è che per lo stesso fenomeno, possano arrivare al cuore, a scoppio ritardato, i farmaci che magari erano stati somministrati, e che temporaneamente lo rimettono in moto. Altra ipotesi ancora è che abbia a che fare con i livelli di potassio nel sangue: alcuni dei farmaci usati nella rianimazione per abbassarli, dato che il loro eccesso provoca aritmie potenzialmente fatali, potrebbero far ripartire il cuore.

Errori fatali? Difficile perfino da esprimere è il timore che qualcuno possa essere scambiato per morto senza esserlo davvero, lo stesso che portava nell’Ottocento a costruire bare dotate di congegni d’allarme per allertare i passanti nel caso uno si fosse trovato per sbaglio sottoterra. Ma oggi è praticamente impossibile, anche nei casi in cui, per esempio quando si deve procedere all’espianto degli organi, si devono bilanciare le esigenze di accertare la morte e quella di non aspettare troppo per non danneggiare gli organi. Nel caso di morte cerebrale, non si presenta il problema: la circolazione del cuore è sostenuta artificialmente, e c’è un tempo di osservazione di sei ore da parte di diversi specialistici.

Per i casi di morte dopo arresto cardiaco, di cui si sta parlando, la legislazione italiana è tra le più prudenti al mondo, e prevede un accertamento con venti minuti di elettrocardiogramma piatto, contro i pochi minuti previsti per esempio negli Stati Uniti. Un tempo lunghissimo che, purtroppo o per fortuna, dà la garanzia che il donatore sia effettivamente morto.

8 aprile 2016 Chiara Palmerini
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