Salute

I microbi peggiori in ospedale? Te li porti da casa

Un buon numero di contagi associati all'ambiente tutt'altro che sterile degli ospedali sarebbe in realtà riconducibile a batteri ospitati dai pazienti ancora prima del ricovero.

Le infezioni ospedaliere sono tra gli effetti collaterali più temuti dal personale sanitario e dai pazienti costretti a trascorrere molto tempo in corsia. Ora però uno studio pubblicato su Science Translational Medicine sembra scagionare le strutture sanitarie da una parte delle responsabilità in fatto di contagio. Non perché siano sterili (anzi), ma perché i batteri più pericolosi e resistenti sembrerebbero quelli che "ci portiamo da casa", presenti cioè nell'organismo ancora prima del ricovero.

Ancora intonso. Per studiare l'evoluzione delle comunità di patogeni in una struttura complessa come un ospedale era necessario partire da un "punto zero", da usare come riferimento. Jack Gilbert, uno scienziato dell'università di Chicago, lo ha trovato in un nuovo ospedale universitario aperto nel 2013. Prima dell'inaugurazione della struttura aveva parlato con architetti e ingegneri per studiare i percorsi che pazienti e personale avrebbero maggiormente battuto, i principali luoghi di incontro, il posizionamento di macchinette varie e altri punti di contatto personale/pazienti e pazienti/familiari.

Prima e dopo la cura. Quindi ha catalogato la fauna microbica iniziale - l'ambiente era quasi del tutto sterile - e, per un anno, quella di pazienti, medici, infermieri, personale di servizio e superfici ospedaliere, per un totale di 6.523 campioni raccolti. Gilbert e colleghi hanno esaminato i batteri in entrata e quelli in uscita dei pazienti, utilizzando modelli matematici per capire che cosa avesse influenzato la loro fauna batterica durante il ricovero. Le sponde del letto sono risultate una delle più fertili riserve di microbi: la loro composizione è molto più simile a quella del paziente che ospitano di quella di qualunque altra superficie.

Compagni fedeli. Tra i 252 pazienti testati, 20 hanno contratto quelle che gli esperti definiscono infezioni ospedaliere; tuttavia, nei campioni prelevati dalle stanze, dalle infermiere e dai medici con i quali i malati erano entrati in contatto, non sono state trovate tracce dei microbi responsabili.

«La spiegazione più probabile è che i pazienti avessero già contratto l'infezione prima di essere ammessi», spiega Gilbert. Se i risultati fossero confermati significherebbe che, pur continuando a sterilizzare gli ospedali, potrebbe essere opportuno anche trattare i pazienti con probiotici e fermenti lattici prima del ricovero.

26 maggio 2017 Elisabetta Intini
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