Salute

5 abitudini per rimanere giovani a lungo

Attività fisica regolare e una dieta corretta sono importanti ma non bastano: bisogna anche essere positivi e capaci di coltivare solide relazioni. Ecco alcune buone abitudini per combattere l’invecchiamento, alla luce delle ultime scoperte scientifiche.

Oggi in Italia ci sono più di 10mila centenari. Nel 2050 saranno 200 mila, dicono le stime. La scienza promette di realizzare il sogno più antico dell’uomo: una vita lunghissima e in buona salute. Non infinita, ma pur sempre lunga e in buona salute. Come? La ricetta comprende la genetica, la medicina, l’alimentazione e gli stili di vita. In alcuni casi gli ingredienti della longevità sono molto innovativi: diete speciali, infusioni di cellule staminali, trasfusioni di plasma, farmaci all’avanguardia di vario tipo.

Ma in altri casi per invecchiare più lentamente e bene possiamo fare tutto “da soli”. Si potrebbe riassumere il tutto col vecchio detto latino mens sana in corpore sano, a cui aggiungiamo una giusta dose di ottimismo e qualche buon amico per condividere gioie e dolori.

In particolare ci sono 5 buone abitudini capaci di migliorare la salute e l’equilibrio psicofisico di tutti noi. E farci vivere più a lungo.


1. La dieta mediterranea. È noto che la dieta mediterranea, povera di carne e ricca di verdure, cereali, frutta e legumi, riduce il rischio di sviluppare diverse patologie cardiovascolari, ossee e neurologiche. Negli ultimi anni si è scoperto che questo tipo di alimentazione è però anche in grado di rallentare l’invecchiamento.

Ad esempio, un recente studio ne ha messo in evidenza l’azione anti-aging sul cervello. Quando invecchiamo, infatti, perdiamo cellule cerebrali e ciò influisce sulla capacità di apprendimento e sulla memoria. Pare che il cervello degli anziani che seguono una dieta mediterranea perda meno massa – si parla di minor atrofia – rispetto a coetanei che hanno abitudini alimentari diverse. In pratica è come ritrovarsi un cervello più giovane della propria età anagrafica.

Inoltre la dieta mediterranea avrebbe un impatto positivo sulla qualità della vita negli anziani, limitando gli effetti dell’osteoporosi in coloro che ne soffrono, nonché depressione e disabilità.

2. Attività fisica regolare. Anche in questo caso è risaputo che fare sport aiuta a rimanere in salute, dov’è la novità? Ebbene studi sempre più raffinati stanno mettendo in evidenza che l’attività fisica rallenta l’invecchiamento, addirittura a livello cellulare.

Una ricerca pubblicata sull’American Journal of Epidemiology ha considerato campioni di sangue prelevati da 1500 donne che avevano superato la menopausa, focalizzandosi sui telomeri, la parte terminale dei cromosomi. Il nostro DNA, col passare degli anni e il susseguirsi delle moltiplicazioni cellulari, va incontro a progressivi deterioramenti con perdita d’informazione genetica. La funzione dei telomeri è quella di limitare questo fenomeno. Purtroppo col tempo anche i telomeri si deteriorano, accorciandosi: telomeri più corti sono associati all’invecchiamento fisiologico.

Sorprendentemente, i telomeri nelle donne sedentarie sono risultati più corti rispetto a quelli delle donne che praticano un’attività fisica regolare. Questo significa che, da un punto di vista biologico, le donne che non lasciano mai la sedia risultano più vecchie delle coetanee sportive. Di quanto? Nello studio citato addirittura di 8 anni.

Un po’ di sport fa bene anche al cervello. Una ricerca condotta all’Università di Edimburgo ha considerato un gruppo di oltre 600 settantenni su un periodo di tre anni. Gli esami clinici hanno rivelato che il cervello degli sportivi, in questo lasso di tempo, aveva subito una minor atrofia rispetto alle persone sedentarie. Tutto ciò indipendentemente dal fatto che il soggetto abbia o meno svolto attività stimolanti da un punto di vista intellettuale, come la lettura.

In pratica: leggere qualche libro in più non compensa la mancanza di attività fisica.

Attenua lo stress, allevia i sintomi di ansia e depressione ed è una panacea per chi fatica a concentrarsi. Ma non solo: i benefici della meditazione sono scientificamente provati. © Shutterstock

3. La meditazione: pane non solo per lo spirito. Anche in questo caso torniamo a parlare di telomeri, la parte terminale dei nostri cromosomi, che tendono ad accorciarsi con l’invecchiamento. Secondo una ricerca, chi pratica regolarmente la meditazione avrebbe cellule con telomeri più lunghi, dunque capaci di vivere, dividersi e rimanere in salute più a lungo.

Gli effetti positivi sul cervello non sono da meno: bastano 8 settimane di meditazione per indurre cambiamenti nelle regioni cerebrali collegate alla memoria, all’empatia e allo stress, con benefici cognitivi e psicologici.

Un altro studio ha sottoposto a risonanza magnetica un gruppo di volontari che praticavano abitualmente la meditazione, confrontando i risultati con quelli di altrettante persone non abituate a tale pratica. La fisiologica perdita di materia grigia è stata meno netta in chi pratica la meditazione. I motivi del fenomeno, tuttavia, non sono ancora stati chiariti.

4. Coltivare relazioni sociali. Da soli si invecchia male e più in fretta. Questa è la conclusione di tanti studi condotti negli ultimi anni, che hanno dimostrato come la solitudine, nelle persone con più di 60 anni, sia un fattore predittivo di declino funzionale e decesso.

La mancanza di relazioni sociali, o l’insoddisfazione rispetto a quelle che si hanno, incide negativamente sul nostro sistema immunitario, rendendolo più fragile soprattutto se si tratta di persone anziane. L’impatto sulla salute sarebbe analogo a quello del fumo di sigaretta e addirittura superiore a quello dell’obesità.

Un recente studio sull’invecchiamento condotto ad Harvard ha concluso che la capacità di coltivare relazioni profonde (naturalmente anche in senso amicale) ha una ricaduta sulla qualità della vita maggiore rispetto al successo e al denaro.

5. Tanto ottimismo. I cattivi pensieri stressano e fanno invecchiare prima. Ancora una volta, parte della responsabilità sarebbe dovuta ai telomeri: i depressi tendono infatti ad avere i telomeri dei leucociti più corti rispetto agli ottimisti. Questo perché il cortisolo – l’ormone associato allo stress – limita la capacità delle cellule di attivare la telomerasi, un enzima in grado di riparare i telomeri così da mantenere integri i cromosomi. Queste sono alcune delle conclusioni di Elissa Epel della University of California, autrice insieme a Elizabeth Blackburn – premio Nobel per la medicina – del saggio La scienza che allunga la vita (Mondadori).

Il modo migliore per affrontare il tempo che passa è non farne un dramma. Secondo uno studio di qualche anno fa, pubblicato sul Journal of Personality and Social Psychology, chi vive serenamente il passare del tempo e la propria vecchiaia ha un’aspettativa di vita di 7,5 anni in più rispetto agli altri. Il bello è che questo non cambia anche laddove si tenga conto delle diverse condizioni socio-economiche.

22 maggio 2017 Devis Bellucci
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