Salute

Batteri resistenti agli antibiotici: quello che c'è da sapere

Gli antibiotici non servono più? Saremo di nuovo vittime di malattie che credevamo vinte? L'Organizzazione mondiale della sanità suona l'allarme sul fenomeno della resistenza dei batteri ai farmaci che dal secolo scorso salvano la vita di milioni di persone.

Finora la minaccia della resistenza dei batteri agli antibiotici è stata sottovalutata. Ma l'antibiotico-resistenza è ormai un fenomeno diffuso in tutto il mondo e diventa sempre più preoccupante, con la resistenza a varie classi di antibiotici, anche a quelli considerati da ultima risorsa.

Se non si corre ai ripari, la situazione potrebbe aggravarsi fino a un punto di non ritorno: lo mette per la prima volta nero su bianco l'OMS, l'Organizzazione mondiale della sanità, in un rapporto appena rilasciato. Mentre alcuni esperti affidano a Nature un appello: la necessità di istituire un organismo internazionale sul modello di quello che si occupa dei cambiamenti climatici, per tenere sotto controllo la situazione e trovare soluzioni.

Ecco, in dieci domande, quello che c'è da sapere sul funzionamento degli antibiotici e sul fenomeno della resistenza dei batteri. Per approfondire: le pagine web del Centro Nazionale di Epidemiologia.

Come agiscono gli antibiotici?
I diversi farmaci hanno differenti meccanismi d'azione. Alcuni uccidono i batteri causando la distruzione della loro parete cellulare: è il caso, per esempio, di penicilline, carbapenemi e cefalosporine. Altri agiscono su componenti diversi della cellula batterica. Altri ancora, come i chinoloni, interferiscono con la sintesi del materiale genetico dei microrganismi, di fatto impedendo loro di riprodursi, oppure con il metabolismo energetico. Lo spettro di azione, cioè la capacità di agire su un numero più o meno ampio di specie batteriche, varia da un farmaco all'altro.

Quali sono gli antibiotici oggi a disposizione?
Ne esistono oltre quindici classi. L'età d'oro dello sviluppo di questi farmaci è stata intorno alla metà del secolo scorso, quando numerose nuove molecole entrarono sul mercato. Da allora, però, il filone si è esaurito. La stragrande maggioranza degli antibiotici oggi a disposizione è stata sviluppata prima del 1968. L'ultima classe di antibiotici scoperta risale agli anni Ottanta, e l'ultimo prodotto commercializzato in Europa, nel 2012, è un antibiotico contro le polmoniti ospedaliere e le infezioni cutanee dovute ai temuti stafilococchi resistenti alla meticillina (MRSA).

Perché si sviluppa la resistenza dei batteri ai farmaci?
Lo sviluppo della resistenza è un normale processo evolutivo. Già nel 1945, nel suo discorso alla cerimonia del Nobel, Alexander Fleming, scopritore della penicillina, aveva avvertito che i microrganismi potuto sviluppare resistenza a questo farmaco meraviglioso. Normalmente, in una colonia di microbi sensibili a un certo farmaco, ne esistono alcuni che sono naturalmente resistenti: il fenomeno si chiama insensibilità primaria. Quando l'antibiotico distrugge i batteri sensibili, quelli insensibili al farmaco e che fino a quel momento si trovavano in uno stato "dormiente" cominciano a moltiplicarsi. Oppure può succedere che una resistenza si sviluppi in seguito a mutazioni del materiale genetico del batterio, oppure allo scambio dei geni che conferiscono la resistenza tra batteri.

La resistenza si è sviluppata da quando esistono gli antibiotici?
Pur essendo un fenomeno naturale, è accelerato e aggravato da un uso scorretto dei farmaci antibiotici. Uno dei principali fattori che contribuiscono alla resistenza è la pratica di trattare gli animali da allevamento con basse dosi di antibiotici per favorire la crescita ed evitare le malattie negli ambienti sovraffollati degli allevamenti intensivi. Questa pratica è vietata in Europa dal 2006, ma ancora oggi negli Stati Uniti l'80 per cento circa degli antibiotici viene impiegato con gli animali.

Quali sono i comportamenti che favoriscono la resistenza?
Tra le pratiche considerate più dannose c'è l'abitudine di fare uso degli antibiotici anche per trattare infezioni virali, dove non hanno alcuna utilità. Anche prendere i farmaci in modo diverso dalle prescrizioni, a dosi inferiori o per un tempo differente da quello raccomandato, si ritiene che possa contribuire a far sviluppare la resistenza. Altra pratica che di recente è stata messa sotto accusa è l'abitudine in molti ospedali di prescrivere cicli di antibiotici a scopo preventivo.

Quali batteri sono diventati resistenti?
I sorvegliati speciali sono nove batteri che causano infezioni comuni nelle comunità, per esempio asili nido, ospedali eccetera, oppure infezioni alimentari. Ci sono Escherichia coli (causa di infezioni del tratto urinario e setticemie), Klebsiella pneumoniae (polmoniti e setticemie), Staphylococcus aureus (infetta le ferite e può trasmettersi al sangue). E poi ancora alcune specie di batteri enterococchi all'origine di diarrea e infezioni trasmesse dal cibo.
Infezioni comuni come la polmonite, curate senza difficoltà con l'avvento della penicillina, in molte situazioni non rispondono più. Per la cistite, infezione molto comune, spesso non bastano più i farmaci orali ed è necessario ricorrere ad antibiotici iniettabili.
L'alta percentuale di resistenza ad antibiotici che sono considerati la seconda o la terza scelta per la maggior parte di queste infezioni significa che per trattare le forme gravi è necessario fare ricorso a farmaci che costituiscono di fatto l'ultima spiaggia. Se si diffondesse la resistenza anche a questi, non rimarrebbe alternativa.

Dove si trovano i batteri resistenti e come si trasmettono?
I problemi maggiori ci sono negli ospedali, nei reparti di terapia intensiva e di neonatologia. Spesso, nel caso di batteri che vivono normalmente nel corpo della persona senza causare problemi, si tratta di autoinfezioni. I pazienti oncologici e quelli che hanno subito un trapianto sono i più vulnerabili, come anche le persone operate cui vengono somministrati antibiotici per prevenire infezioni dopo l'intervento.
Le infezioni che nascono in ambiente ospedaliero possono trasmettersi tra pazienti e causare epidemie. A volte ceppi resistenti possono essere trasmessi dagli animali, attraverso la contaminazione del cibo. Gli pneumococchi resistenti sono spesso riscontrati in persone asintomatiche che fanno da portatori sani. Di fatto, secondo uno studio recente, i microrganismi portatori di geni per la resistenza agli antibiotici non sono una rarità, anzi: sono abbondanti e diffusi ovunque, dal suolo all'acqua del mare fino all'intestino degli animali.

A quali soluzioni stanno pensando gli scienziati?
La maggior parte ritiene che non ci sia una soluzione unica al problema. Tra le strategie a cui si pensa ci sono quelle di combinare diversi antibiotici tra quelli esistenti, di rinforzare le molecole esistenti con sostanze adiuvanti che rendano i microbi resistenti di nuovo suscettibili e di mettersi alla ricerca di nuovi composti antibatterici.

Ci sono nuovi antibiotici in corso di sviluppo?
Ci sono alcune nuove molecole in sperimentazione, tra cui una in corso di sviluppo contro Pseudomonas aeruginosa, responsabili di gravi polmoniti acquisite in ospedale. Non c'è però niente in vista per il fenomeno che appare più preoccupante, la resistenza batterica agli antibiotici carbapanemi, considerati l'ultima spiaggia per diversi tipi di infezione.

In Italia facciamo un uso corretto degli antibiotici?
No, l'Italia è uno dei paesi europei che usa più antibiotici. I sistemi di sorveglianza confermano che anche il fenomeno della resistenza è tra i più elevati per i Paesi europei, più al centro e al sud che nel nord Italia, in stretta relazione con il consumo. Secondo dati dell'Istituto superiore di sanità, quasi la metà degli italiani che nel 2007 hanno assunto un antibiotico lo ha fatto senza la prescrizione del medico. Alta anche la percentuale di chi usa gli antibiotici in caso di influenza e raffreddore, quando normalmente non servono.

27 maggio 2014 Chiara Palmerini
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