Storia

Ladislao José Biro e la storia delle penne

Nel 1943 il giornalista ungherese Ladislao José Biro brevettò la penna a sfera. Fu una vera rivoluzione, ma come si faceva quando non c'era la biro? In Egitto usavano rametti di canna,  in Grecia uno stilo di metallo, a Roma il calamo. Poi venne la penna d’oca.

La prima “penna” fu probabilmente una punta di pietra a forma di scalpello usata per realizzare le incisioni rupestri, primi esempi di comunicazione simbolica. In seguito, 5 mila anni fa, gli Egizi impiegarono rametti di canna con un’estremità masticata per farla diventare simile a un pennellino.

Questo pennello veniva prima intinta nell’acqua e poi strofinato su blocchi solidi simili ad acquarelli. Per incidere tavolette d’argilla si usavano invece punte dure, fatte passare sulla superficie umida.

Scribi. I Greci perfezionarono lo stilo, in metallo, osso o avorio, per incidere segni su tavolette ricoperte di cera. Usavano invece una cannuccia appuntita, la cui estremità tratteneva l’inchiostro, per scrivere sui papiri.

Da questo strumento derivò una rudimentale forma di penna stilografica diffusa nell’antica Roma, il calamo: si trattava di una piccola canna di bambù incisa a una estremità, che costituiva una sorta di pennino. La canna si intingeva in un inchiostro naturale, che usciva poi a pressione, permettendo la scrittura.

Scribi egizi del 2400 a. C.

La penna d’oca, in uso sin dall’VIII secolo, era basata sullo stesso principio del calamo: la parte rigida al centro della penna degli uccelli, cava, può contenere inchiostro, che scende facendo pressione con la penna sul foglio. A penne d’oca e pennini (evoluzione del calamo) si aggiunse, alla fine del XIX secolo, la prima penna stilografica.

Ideata dallo statunitense Lewis Waterman nel 1884, divenne ben presto il più diffuso strumento di scrittura a mano, rimanendo tale per oltre mezzo secolo. Sue principali innovazioni erano il serbatoio, che ne aumentava l’autonomia prima limitata dalla necessità di intingere la penna nel calamaio, e il pennino metallico, che favoriva la velocità di scrittura.

Rotante. Nel ’900 apparve infine la penna a sfera, inventata dagli ungheresi László e György Biró (conosciuti anche come Ladislao José Biro, il primo, e George Biro, il secondo). La penna a sfera fu brevettata in due versioni, nel 1938 e nel 1940 e prese il nome di biro, proprio dai due inventori.

Il principio è semplice: distribuisce l’inchiostro sulla carta grazie a una piccola sfera metallica che rotola su se stessa. Potendo scrivere per mesi senza essere ricaricata, cominciò a rimpiazzare la più laboriosa stilografica.

A causa degli alti costi di produzione, Bíró fu costretto a vendere il brevetto (a molto poco) al francese Marcel Bich, che abbatté i costi del 90% e ne fece un successo commerciale Ma la Seconda guerra mondiale ne frenò la diffusione, che riprese – questa volta inarrestabile – negli Anni ’50.

Come si fanno le penne a sfera. Per produrre una penna sfera occorre il concorso di quattro grandi settori industriali: minerario, chimico, petrolchimico e metallurgico. Vediamo perché.

  • La sfera è fatta di acciaio inossidabile oppure di carburo di tungsteno, composto da carbonio e tungsteno.
  • La punta è fatta di ottone, lega di rame. È ricavata da una sottile barra tagliata a pezzetti, sagomata con il tornio e forata per accogliere la sfera e lasciare scendere l’inchiostro.
  • Il tubetto è fatto di polipropilene o polietilene, materie plastiche che hanno come base l’etilene, che si ricava dal petrolio o dal gas naturale.
  • L’inchiostro è fatto di glicol, un solvente, nel quale sono sciolti pigmenti oppure coloranti: blu di Prussia, fucsina o croceina (per i rossi).
  • Il corpo è fatto di polistirolo, materia plastica derivata anch’essa da sottoprodotti del petrolio.
  • Il corpo è anch’esso di polistirolo e si ottiene iniettando la sostanza fusa in una forma dove, raffreddandosi, solidifica.
  • Tappino e cappuccio sono prodotti con lo stesso sistema del corpo.
  • 29 settembre 2016
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