«Si stima che la maggior parte delle persone utilizzi solo il dieci per cento delle capacità cerebrali. Immagina che cosa succederebbe se potessimo sfruttare il cento per cento.» A parlare è il neuroscienziato professor Norman, interpretato dall’attore Morgan Freeman nel nuovo film di Luc Besson, Lucy: ed è lei, Lucy (Scarlett Johansson), che arriverà a usare la totalità della sua materia grigia dopo l’assunzione accidentale di farmaci sperimentali che liberano tutte le capacità del suo cervello e la forniscono di straordinari poteri cognitivi, tra cui imparare il cinese in un istante [Vedi trailer a fine articolo].
L’idea che normalmente ci serviamo solo di un decimo delle nostre facoltà e che ci sia una vasta e inesplorata riserva di neuroni che potremmo sfruttare, è un mito duro a morire, che però non ha alcun fondamento scientifico. Più volte la scienza l’ha smentito, anzi si potrebbe dire che non l’ha mai affermato. E allora come è nata questa idea?
L'ha detto Einstein o UN neurochirurgO? Secondo Christian Jarret, neuroscienziato e giornalista, la paternità della bizzarra idea è incerta. Una delle possibili fonti è il libro "How to Win Friends and Influence People" (Come trattare gli altri e farseli amici), in pratica il primo manuale di auto-aiuto, pubblicato nel 1936 negli Stati Uniti, e che ha venduto oltre 15 milioni di copie in tutto il mondo.
Nella prefazione del libro il giornalista Lowell Thomas avrebbe citato in maniera scorretta lo psicologo William James, secondo cui una persona media «sviluppa solo il dieci per cento» della sua abilità mentale latente. James, in realtà, nei suoi studi si riferiva in termini più vaghi a una energia mentale latente.
Secondo altri, fu Einstein ad attribuire le sue capacità intellettuali al fatto di usare più del dieci per cento normalmente sfruttato, ma pare che questa attribuzione sia una bufala. Altra possibile origine sono le ricerche sul cervello svolte negli anni ’30 da neurochirurghi, in cui si parlava di corteccia silente per le aree del cervello cui apparentemente, alla stimolazione elettrica, non corrispondeva una funzione (oggi sappiamo che non è così).
Nessuna riserva inutilizzata. Comunque sia, questa idea, che ha quasi un secolo, sembra essersi radicata nella cultura popolare. Alcuni recenti sondaggi in Gran Bretagna e Stati Uniti mostrano che la maggior parte delle persone la ritengono un’idea plausibile e supportata dalla scienza, probabilmente perché fa leva sulla nostra sensazione che potremmo fare e imparare molte più cose, se solo ci applicassimo.
Le conoscenze attuali, però, non le forniscono alcun sostegno.
Anzi. L’evidenza mostra che ogni più piccolo danno cerebrale, come appare drammaticamente nelle persone colpite da ictus, può provocare devastanti perdite di funzioni. E la visualizzazione del cervello con le tecniche di brain imaging non mostra aree “dormienti” o non sfruttate.
I nostri cervelli sono il risultato dell’evoluzione e gli esseri umani hanno il più alto quoziente di encefalizzazione (un indice relativo della grandezza dell’encefalo rispetto al corpo, e in termini grezzi una misura dell’intelligenza, tra i mammiferi): 7,4 contro il 4,1 dei delfini e il 2,3 degli scimpanzè.
Insomma, poco o tanto che sia, il nostro cervello pare proprio sia tutto sfruttato.