Psicologia

Terroristi: perché spesso sono fratelli?

Dall'11 settembre alle stragi di Bruxelles, gli attentati del terrorismo islamico vedono spesso all'opera fratelli. Come si spiega?

Gli attentati di Bruxelles del 22 marzo, la strage del 13 novembre 2015 a Parigi, quella di Charlie Hebdo e prima ancora quella di Boston, durante la maratona nell'aprile del 2013, hanno un macabro particolare in comune, oltre all'infame marchio del terrorismo islamico: alcuni attentatori erano tra loro fratelli. E, secondo il rapporto della commissione 9/11, lo erano anche 6 dei 19 dirottatori che presero parte gli attacchi dell'11 settembre. Ma come si spiega?

All'indomani dell'attentato di Boston, dove le bombe causarono la morte di 3 persone e il ferimento di altre 264, la rivista americana Slate ha provato ad analizzare la coincidenza:

«Gli esperti antiterrorismo suggeriscono che molti gruppi terroristici sono dotati di un "fratello maggiore" che converte gli altri e conduce il piano. Non sempre, ma spesso.

Nel caso degli attentati di Bali del 2002, che hanno fatto 202 morti, tre dei perpetratori erano fratelli: Ali Imron, Amrozi Nurhasyim, e Ali Ghufron. Il fratello maggiore, Ali Ghufron, ha reclutato i suoi fratelli minori e fu giustiziato per essere il principale organizzatore dell'attacco.

Due membri del cosiddetto Portland Seven, che sono stati condannati per aver cercato di entrare in Afghanistan e combattere per i talebani dopo l'11 settembre, erano fratelli. Entrambi sono stati dichiarati colpevoli nel 2003, anche se l'avvocato del fratello più giovane ha sostenuto che stava solo seguendo l'esempio del fratello maggiore».

Emulazione e plagio? La partecipazione di un fratello minore a un atto terroristico troverebbe dunque le sue radici nell'emulazione e nel plagio. Ma non solo. «C'è qualcosa che si chiama disturbo paranoide condiviso in cui una persona in un rapporto stretto ha manie e tira l'altro in questo sistema delirante», spiega Harold Bursztajn, psichiatra e co-fondatore del programma di Psichiatria e Legge alla Harvard Medical School.

Di solito, la persona più dominante nel rapporto sviluppa prima paranoia o deliri e poi influenza il più debole, portandolo ad avere gli stessi pensieri contorti. Il disturbo paranoide condiviso potrebbe anche spiegare perché i due attentatori di Boston non hanno inizialmente programmato una rapida fuga dopo la strage. Bursztajn è convinto che «avrebbero potuto fantasticare che Dio si prendesse cura di loro».

Oppure sostegno reciproco? La condizione psichiatrica, tuttavia, non accontenta tutti. Alcuni studiosi propendono piuttosto per l'ipotesi che i fratelli si incoraggino a vicenda nel compiere un atto cosi atroce. «Possono credere che l'omicidio sia sbagliato, ma il loro senso di fedeltà e lealtà reciproca (o al gruppo) prendono il sopravvento e sostituiscono il senso di giusto e sbagliato», ha spiegato al Boston Globe, James Alan Fox, professore di criminologia alla Northeastern University.

«Terribili reati possono essere commessi solo per il gusto di una sorta di perverso legame. E penso che hanno portato fuori uno il peggio dell'altro», continua Fox. «Non sono sicuro che da soli (si riferisce a Džochar e Tamerlan Carnaev, i due attentatori di Boston) avrebbero commesso un omicidio per conto proprio».

Bande. Più che la parentela però conterebbero le affinità, che di solito sono maggiori tra fratelli o congiunti. «Gli esperti antiterrorismo suggeriscono che il punto più significativo non è che i terroristi spesso cospirano con i fratelli - si legge sempre su Slate - ma piuttosto che essi tendano, nella maggior parte dei casi, a creare bande con un piccolo gruppo di coetanei, siano essi fratelli o amici o vicini di casa».

23 marzo 2016 Eugenio Spagnuolo
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