Farsi gli spinelli da ragazzi significa prepararsi a un futuro da disadattati, non riuscire a prendere un diploma, predisporsi alla dipendenza di droghe pesanti da adulti e addirittura rischiare il suicidio. Uno studio pubblicato sulla rivista The Lancet Psychiatry la scorsa settimana è stato riportato più o meno in questi termini.
La ricerca, condotta da ricercatori australiani e neozelandesi analizzando i dati ricavati da tre diversi studi su oltre 3.700 giovani, ha osservato che i ragazzi sotto i 17 anni che facevano uso quotidiano di marijuana avevano minori probabilità di ottenere un diploma di scuola superiore, e un rischio assai maggiore, da adulti, di diventare dipendenti dalle droghe pesanti e addirittura di arrivare a suicidarsi, rispetto ai coetanei che non ne avevano fatto uso o che avevano fumato sporadicamente. Secondo gli autori, “non c’è un livello d'uso da considerare innocuo”, e le leggi in discussione in vari paesi del mondo per indebolire la proibizione delle droghe leggere potrebbero danneggiare le generazioni future rendendo la cannabis più facilmente accessibile.
Causa o effetto? Quello che è stato raramente spiegato negli articoli che hanno riportato la notizia, è che questi risultati sono emersi da uno studio clinico longitudinale, in cui cioè i partecipanti (spesso centinaia o migliaia) vengono seguiti nel corso del tempo per osservare gli esiti di alcuni fenomeni. Quello che emerge da questo genere di analisi è una correlazione. Solo rari commentatori hanno sottolineato, riportando la notizia dello studio, che osservare una correlazione è ben diverso dall’osservare un preciso rapporto di causa-effetto. In altre parole, il fatto che l’uso della cannabis da adolescenti si accompagni più spesso ad alcune conseguenze negative più avanti nella vita, come scarsi risultati scolastici, depressione o dipendenza da droghe pesanti, non significa necessariamente che ne sia la causa.
Come spiega anche uno statistico intervistato in proposito dalla rivista New Scientist, ci potrebbero essere molte possibilità alternative compatibili con i dati. Alcuni sono anche facilmente intuibili. Può essere per esempio più probabile che sia un ragazzo che vive dei problemi a iniziare a fumare piuttosto che uno moderatamente felice. E di certo viene difficile pensare che, in questo caso, la marijuana sia la “causa originaria" di eventuali future conseguenze negative. Un’altra possibilità che spiegherebbe gli stessi dati è che gli studenti più ambiziosi o più interessati alla scuola abbiano meno probabilità in partenza di diventare consumatori abituali e più di riuscire bene negli studi.
Più complesso di quel che appare. I ricercatori ammettono di aver escluso una cinquantina di possibili fattori confondenti, come vengono chiamati nel gergo dell’epidemiologia, e di avere osservato ugualmente gli stessi risultati.
Si confrontano perciò qui due visioni: quella che ritiene che l’uso di droghe leggere come la marijuana produca comunque degli effetti biochimici sul cervello, che innescano o rendono più probabili disturbi mentali e comportamentali, e quella secondo cui l’uso delle canne non è la causa ma il sintomo di un disagio pre-esistente. Lo studio sembra dare ragione ai primi, ma, quando si tratta di argomenti complessi e controversi come questo, bisogna diffidare delle spiegazioni troppo semplici.