Economia

Che cosa sono e come funzionano i paradisi fiscali

Le radici storiche di un fatto d’attualità, i Paradise Papers.

Il tema dei paradisi fiscali è tornato sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo grazie allo scandalo dei Paradise Papers.

Che cosa sono è facile da capire e da dedurre: sono Paesi, spesso sotto la sovanità di uno stato più grande, dove le tasse sono molto basse o inesistenti e le leggi fiscali e tributarie molto lasche. Ma la storia dei paradisi fiscali è molto antica, quanto quella delle tasse.

Quando sono nati? «Da sempre i cittadini più abbienti hanno cercato escamotage per non pagare le tasse. Nell’ultimo periodo dell’Impero romano, molti preferirono diventare sudditi dei regni barbarici pur di sfuggire al fisco di Roma. Ma il primo “paradiso fiscale” del mondo moderno fu l’America. Molti storici riconoscono che numerosi padri pellegrini (fondatori delle colonie nordamericane nel ’600, ndr) andarono nel Nuovo mondo per sfuggire alle tasse inglesi, e non solo per motivi religiosi e politici» spiega Giuseppe Marino, docente di Diritto tributario all’Università Statale e alla Bocconi di Milano, autore di Paradisi e paradossi fiscali (Egea).

Sono quasi sempre Paesi con qualcosa in meno rispetto agli altri. Quasi tutti sono senza esercito, se si esclude la Svizzera, e privi di sindacati e partiti davvero rappresentativi. Spesso non chiedono imposte perché non hanno quasi spese pubbliche. Sono inoltre privi in molti casi di una valuta propria.

La geografia dei paradisi fiscali. Secondo una leggenda le Isole Cayman, un territorio britannico nel Mare dei Caraibi, si sarebbero guadagnate lo status di località esente dalle tasse perché alla fine del Settecento alcuni marinai locali salvarono da un naufragio gli equipaggi di dieci navi mercantili: il re Giorgio III avrebbe ricompensato il gesto degli abitanti delle Cayman promettendo di non tassare mai il loro arcipelago.

Ma è la Svizzera, il più importante e noto paradiso fiscale, fin dagli Anni ’30 “rifugio dei rifugi” grazie alla sua neutralità e alle norme sul segreto bancario. Nel secondo dopoguerra emerse anche Tangeri (Marocco): aveva un sistema tributario quasi inesistente e un liberalismo doganale pressoché illimitato.

Beirut (Libano) divenne invece un paradiso fiscale dopo la Prima guerra arabo-israeliana (1948). Oggi non lo è più e il suo posto è stato preso da Dubai (Emirati Arabi) che è soprattutto il rifugio fiscale dei russi e della finanza islamica.

Panama è un altro esempio: ha costruito la sua fortuna più come sede di società off-shore (legali, ma che permettono di evadere il fisco di casa propria o di nascondere operazioni al limite del lecito) che con il suo canale.

Hong Kong è diventata accesso privilegiato alla Cina continentale per il suo status di ex colonia britannica.

Ma come si fa a combattere contro i paradisi fiscali? «John Kennedy è passato alla Storia anche per aver presentato nel 1962, su consiglio dell’economista Stanley Surrey, la Controlled foreign corporations legislation, una legge che prevedeva la tassazione dei profitti di società estere delle multinazionali americane», spiega Marino. Che aggiunge: «Resta quello il modello legislativo più adatto per combattere l’uso improprio dei paradisi fiscali. Ma in pochi, dopo Kenney, vi ci sono cimentati».

5 novembre 2017
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