È un tesoro in mano a pochi gruppi che hanno anche il potere di influenzare scelte economiche e politiche in diversi Paesi del mondo. Le Big Six sono la Cina National Tobacco Corporation, un monopolio di Stato (le sigarette nel mondo sono perlopiù prodotte in Cina, che ha il 43% del mercato globale); Philip Morris, di cui le leggendarie Malboro sono il marchio più diffuso, con il 16,4% del mercato. Con la differenza di un solo punto percentuale c'è Bat, la British american tobacco, un altro big che ha sedi in tutto il mondo. Seguono infine la Japan Tobacco International, la Imperial Tobacco e Altadis.
Sono risultati finanziari da mille una notte grazie al fatto che le sigarette (e altri prodotti del tabacco come sigari, cartine, tabacco da fiuto) sono anche i prodotti più pubblicizzato tra i beni di consumo. D'altra parte i grandi guadagni si reggono su una spesa di marketing difficilmente quantificabile, ma che si aggira intorno a decine di miliardi di dollari l'anno. Soltanto negli Stati Uniti, per esempio, sono spesi ogni anno circa 10 miliardi di pubblicità per le sigarette (in un periodo in cui la pubblicità è stata vietata in tv e in radio, insieme con altri divieti).
Ancora secondo i dati dell'Oms, la spesa annuale media in promozione delle multinazionali si aggira intorno ai 200 dollari per fumatore. Dove sono spesi tutti questi soldi? I mezzi sono oggi molto diversificati, ma in generale ruotano attorno a forme di sponsorizzazione o di promozione diretta di eventi sportivi, artistici, di moda, viaggi avventura, oltre al sempreverde metodo del product placement nei film e ora anche sul web. Senza dimenticare la cosiddetta charity, cioè la presenza in eventi di beneficienza e la nascita di icone come l'uomo Malboro, il re dell'avventura, uno dei miti del XX secolo.
A produrre questo tesoro sono circa due milioni di lavoratori al mondo, dei quali i 2/3 in Cina, che è il maggiore coltivatore di tabacco insieme con India, Brasile e Indonesia (vedi la distribuzione delle fabbriche di sigarette nel mondo, da The tobacco atlas).
Negli ultimi anni c'è stata una maggiore diffusione in Europa dell'est e in molti Paesi in via di sviluppo in Africa e in Asia. La ragione è legata al costo del lavoro molto basso, a minori controlli sull'uso di pesticidi (che provocano danni alla salute di chi ci lavora e vive) e alla monocultura che depaupera il terreno. Tanto che la coltivazione del tabacco in alcuni Paesi è diventata la principale voce del PIL: è il caso del Malawi, uno stato nel sud-est africano dove c'è stato un salto nei proventi dalle esportazioni dal 50 al 70 per cento tra il 2007 e il 2008. Fino al risultato boom del 2010, anno in cui è stato il maggiore produttore mondiale del tabacco Burley. Un problema per il Paese: nel momento in cui dovesse esserci un calo, l'economia entrerebbe pesantemente in crisi perché non ci sono alternative, ed è proprio su questo che fanno leva le Big Six.
Questo tipo di leva è ben nota nei Paesi europei che coltivano il tabacco, a causa appunto della delocalizzazione, appunto. È per esempio il caso dell'Italia, dove il calo della produzione del tabacco Burley ha condotto a un recente accordo tra la Coldiretti di Toscana, Veneto, Umbria e Campania (le regioni del tabacco italiano) con la Philipp Morris Italia per una "produzione a km 0" che ha infine salvato più di 50 mila posti di lavoro.
Che cosa c'è dietro una sigaretta? Cifre da capogiro.
A partire dalle 6 trilioni (6.000 miliardi) di sigarette prodotte nel mondo, un numero - astronomico - che da solo può dare l'idea del business del fumo. Ed è in aumento esponenziale: il 13% in più rispetto a 10 anni fa. D'altra parte, anche i fumatori sono in aumento: secondo i dati dell'Oms saranno nel 2050 circa 2,2 miliardi, altro aumento vertiginoso visto che le precedenti ricerche (2010) registravano 1,4 miliardi di "smokers".
Numeri in crescita anche perché le multinazionali del tabacco non si fanno scrupoli a catturare anche i giovanissimi: per esempio, negli Usa la quota di mercato dei minori di 18 anni di uno dei più famosi marchi di sigarette è balzata da meno dell'1% al 33% in tre anni grazie a una campagna pubblicitaria che vedeva come protagonista un personaggio dei fumetti.
Numeri che faranno lievitare ancora di più un giro di affari già di centinaia di miliardi di dollari ogni anno: la redditività del tabagismo nel 2010 è stata di 346,2 miliardi di dollari, per un profitto netto di 35,1 miliardi. Per darvi un'idea, si ottiene la stessa cifra se si sommano i profitti 2010 di Coca-Cola, Microsoft e McDonald's, altri tre grandi colossi (fonte: The tobacco atlas, della World Lung Foundation).