Natura

Estinzione veloce e scomparsa dell'habitat riducono la fossilizzazione

Vi siete mai fermati a riflettere su come un organismo vivente può diventare un fossile? Quali "fossili moderni" troveremo tra un migliaio di anni? Ben pochi, pare.

L'evoluzione della vita sul nostro pianeta è studiata soprattutto grazie alla scoperta di fossili: e la fossilizzazione è un processo lento, che salvo rare e curiose eccezioni (vedi) può richiedere anche milioni di anni. Per un organismo, diventare un reperto storico non è per nulla facile: deve depositarsi in un ambiente "calmo", per esempio uno specchio d'acqua col fondo argilloso, dove una volta ricoperto possa avvenire un processo di sostituzione degli elementi che compongono le sue parti più dure, le ossa, con sostanze che rimangano inalterate nel tempo. Superato questo primo scoglio, bisogna poi che sia anche trovato...

La tigre della Tasmania (Thylacinus cynocephalus), dichiarata estinta nel 1936: di questo marsupiale carnivoro sono stati ritrovati pochissimi resti fossilizzati.

La mattanza dei vertebrati. Le ricerche paleontologiche hanno dimostrato che nel passato ci sono state cinque grandi estinzioni di massa: di questi passaggi, di chi c'era e di chi è venuto prima, siamo riusciti a farci un'idea proprio grazie ai fossili.

Oggi, secondo più fonti, la presenza dell'uomo sul pianeta sta spingendo molte specie verso una sesta estinzione di massa: si stima che negli ultimi 100 anni sono totalmente scomparse circa 500 specie di vertebrati e un numero imprecisato di invertebrati. E si ritiene anche che solo una minima frazione tra queste popolazioni di individui abbia lasciato qualche traccia di sé, con qualche piccola possibilità di fossilizzare, a beneficio dei posteri (nostri, è naturale).

«Quante delle specie estinte di recente potranno essere ritrovate, fossili, in un futuro lontano?», si è chiesto Roy Plotnick, paleontologo alla University of Illinois di Chicago.

Secondo il ricercatore, tra le specie di mammiferi moderni estinti o in predicato di scomparire, solo del 9 per cento resteranno tracce fossili. Qualche probabilità in più, il 20%, c'è per i mammiferi non ancora in "grave rischio di estinzione", grazie alla maggiore attenzione che negli ultimi anni abbiamo riservato all'ambiente naturale. In ogni caso, le più penalizzate sono e saranno le specie più piccole, progressivamente private di habitat e condizioni adeguate alla fossilizzazione.

La Pipa myersi è una rana piatta, in via di estinzione, endemica del Centro America: ha poche parti che possono fossilizzare. © WWF

Perché le possibilità di fossilizzazione si riducono così drasticamente soprattutto per le specie in via d'estinzione? La risposta sta nella breve durata di vita della specie causata dall'intervento dell'uomo, che riduce enormemente il numero di organismi che si possono fossilizzare.

E, a differenza di quanto accade oggi, milioni di anni fa non c'era l'uomo a rendere difficile l'accesso a pozze bituminose o a prosciugare paludi, luoghi che meglio di altri permettono agli organismi viventi di fossilizzarsi una volta morti.

Verità a doppio taglio. Da una parte, questo studio è un indicatore di quanto sia profonda la nostra impronta sul pianeta.

Dall'altra... quanto potrebbero essere imprecisi i nostri studi sull'evoluzione della vita sulla Terra!

È possibile, infatti, ritiene Plotnick, che durante le grandi estinzioni siano scomparse più specie di quante immaginiamo, tutte destinate all'oblio eterno, o che ci siano state altre estinzioni di cui non abbiamo scoperto (e forse non scopriremo mai) traccia. Tutto ciò che possiamo dire è che, se è stato così, molto probabilmente a farne le spese sono stati gli organismi più piccoli.

16 marzo 2016 Luigi Bignami
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