Architettura

Energia creativa

Il petrolio? Roba vecchia! Arrivano serpenti eolici, centrali nucleari "pulite", motori a metallo... La caccia a nuove e originali fonti alternative è cominciata: ecco 9 idee per il futuro...

Energia creativa
Il petrolio? Roba vecchia! La caccia a nuove e originali fonti alternative è cominciata: serpenti eolici, centrali nucleari "pulite", motori a metallo... Ecco 9 idee per il futuro raccontate da Andrea Parlangeli su Focus 190, in edicola a partire dal 18 luglio, e i contributi di Focus.it. (Focus.it, luglio 2008)

Il tramonto del petrolio

Il petrolio? Roba vecchia: tra pochi decenni sarà dimenticato, perché di certo non basterà a dare energia ai nostri discendenti. Per questo la caccia a nuove fonti di energia è già cominciata. E le prospettive non sono affatto scoraggianti, a cominciare dal Sole: la potenza solare che colpisce la Terra è di 174 milioni di GW, più di 10 mila volte il fabbisogno mondiale.

LA TERRA IN UN QUADRATO
Secondo il premio Nobel Carlo Rubbia, un ipotetico quadrato di specchi, lungo 200 km per lato (per una superficie equivalente al doppio della Lombardia), potrebbe produrre tutta l'energia necessaria al pianeta. Anche noi, nel nostro piccolo, possiamo fare qualcosa (guadagnandoci): «Nel suo arco di vita di circa 25 anni, un pannello solare produce anche più di 8 volte il costo iniziale: è un ottimo investimento» spiega Ugo Bardi, docente di chimica all'Università di Firenze. E ci sono tante altre possibilità: centrali eoliche alimentate dal vento in quota, reattori nucleari "puliti", perforazioni per sfruttare il calore della Terra... in queste pagine troverete le idee più innovative. Forse, un giorno, i nostri posteri si stupiranno di quanto a lungo i loro avi abbiano usato fonti di energia inefficienti, inquinanti e limitate come il petrolio e l'uranio.

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Il futuro dell'eolico: aquiloni in alta quota
Già oggi, nelle zone molto ventose, l'energia eolica può essere più conveniente del petrolio.

KiteGen - La forza degli aquiloni
La forza degli aquiloni: schema di una centrale capace di generare 10 MW (quanto basta a una piccola città), composta da aquiloni che sfruttano il vento in quota. Clicca qui per ingrandire l'immagine e vedere i dettagli dello schema. (Grafica © Stefano Ranfi)

Se si riuscisse a sfruttare il vento che soffia in quota (molto più intenso e regolare che in superficie), il vantaggio sarebbe ancora maggiore. Già, ma come fare?
Prototipo. La risposta è stata trovata da un gruppo di ricercatori del Politecnico di Torino, guidati da Massimo Ippolito e Mario Milanese: si potrebbe costruire un impianto azionato da aquiloni che raccolgono il vento anche a diversi km di quota, con costi limitati e rendimenti elevatissimi.

AQUILONI!!
L'idea è diventata un progetto europeo: KiteGen. «Abbiamo realizzato un prototipo che genera 25 kilowatt a 800 m di quota», dice Ippolito. E sono già in programma impianti da 10 MW, capaci di alimentare una piccola città, che prevedono il decollo e il ritiro automatico degli "aquiloni", e un volo a 1.300 m con una traiettoria controllata elettronicamente a forma di "8", che consente il rendimento energetico più efficiente.

KiteGen - Impianto da 1 GW
Impianto da 1 GW: gli aquiloni fanno girare una turbina larga 1,6 km. Clicca qui per ingrandire l'immagine. (Grafica © Stefano Ranfi)

«Con questo impianto si potrebbe produrre energia al costo industriale di 25 euro/MWh, contro gli 80 euro/MWh del carbone», dice Ippolito. Il vantaggio economico può migliorare con impianti più grandi, in cui molti "aquiloni" azionano una grande turbina.
Megaturbina. «Con 200 aquiloni che fanno girare una turbina con diametro di 1,6 km alla velocità di 15 giri all'ora», spiega Ippolito, «si potrebbe generare 1 gigawatt». Cioè l'equivalente di una centrale nucleare di media potenza. Secondo Ippolito, tecnicamente questo progetto è realizzabile entro 3 anni.

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Il nucleare "pulito"
L'uranio inquina, alimenta l'industria bellica, è costosissimo e si sta già esaurendo... L'alternativa? Il torio.

Il
Il "Rubbiatron": clicca qui per ingrandire l'immagine e vedere i dettagli dello schema dell'amplificatore di energia proposto da Carlo Rubbia. (Grafica © Stefano Ranfi)

Le centrali nucleari non piacciono a molti. Per forza: costano molto, si "nutrono" di un materiale che sta cominciando a esaurirsi (l'uranio 235: oggi se ne estrae meno di quanto ne usano le centrali) e generano scorie radioattive che possono essere usate per produrre armi. La soluzione a questi problemi sembrerebbe esserci: una centrale che usi, invece dell'uranio, il torio. Con 7 vantaggi.
1) Incidenti impossibili. Le centrali a torio, come quelle a uranio, producono energia grazie alla "fissione" nucleare: gli atomi degli elementi pesanti, se colpiti da neutroni (particelle che si trovano nei nuclei), si scindono producendo energia e altri neutroni. Nel caso dell'uranio, il processo tende a essere esplosivo e deve essere controllato accuratamente per evitare incidenti come quello di Chernobyl. Nel caso del torio, invece, il processo deve essere continuamente stimolato inviando neutroni sul materiale. È impossibile, quindi, che sfugga al controllo e che esploda.
2) Costi. Le centrali al torio non hanno bisogno di sofisticati impianti di sicurezza: costerebbero meno di quelle a uranio e sarebbero più piccole.
3) Abbondanza. Il torio è circa 3 volte più abbondante dell'uranio. Si trova soprattutto in Australia, Usa, Turchia e India.
4) Efficienza. A parità di peso, con il torio si ottiene 250 volte più energia che con l'uranio.
5) Scorie. La "combustione" del torio produce scorie radioattive in quantità molto inferiori rispetto all'uranio, e con un tempo di decadimento relativamente breve: 500 anni invece di centinaia di migliaia di anni.
6) No bombe. Tra le scorie non c'è plutonio (o ce n'è molto poco), un materiale che può essere usato per costruire bombe.
7) Bruciare le scorie. In un reattore al torio, anzi, si possono "bruciare" anche le scorie radioattive generate dall'uranio.

RUBBIATRON. Ci sono varie possibilità di realizzare una centrale al torio. Carlo Rubbia, una decina di anni fa, ha sperimentato con successo al Cern di Ginevra un impianto - chiamato tecnicamente "amplificatore di energia" e detto anche "Rubbiatron" (vedi immagine in alto).

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Un serpente di turbine
SkySerpent è un insieme di eliche collegate tra loro e allineate in modo che nessuna si trovi sulla scia dell'altra.

Torri eoliche
Torri eoliche: simulazione di un impianto avveniristico. Clicca qui per aprire la fotogallery "Energia dal vento con un serpente di turbine".

Le turbine eoliche tradizionali hanno un disegno collaudato. Ma devono essere ben distanti tra loro, per non stare l'una sulla scia dell'altra.
Allineate. Per risolvere il problema, e per accedere al vento più intenso che si trova ad altezze maggiori (vicino al suolo il vento è rallentato dall'attrito con la superficie), l'inventore, l'americano Doug Selsam, ha ideato SkySerpent, un insieme di eliche collegate tra loro e allineate in modo che nessuna si trovi sulla scia dell'altra. Selsam ha già creato un prototipo che genera 3 chilowatt, ma il suo sogno è realizzare interi impianti.

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Il sottosuolo è un serbatoio enorme di energia termica
Più si va sotto terra, più si trova calore, e da questo calore si può ricavare energia.

Il punto caldo
Energia geotermica: clicca qui per aprire la fotogallery "La Terra, fonte inesauribile", che racconta come nasce e come si sfrutta questa tecnologia.

Già scavando di pochi metri, si possono creare pompe di calore utili per gli impianti di condizionamento condominiali (vedi Focus 172), che in linea di principio possono anche produrre energia: se ogni italiano producesse 1 kW (quel che serve a far funzionare un phon) in questo modo, in totale si arriverebbe a 50 GW, come 50 centrali nucleari.
Rocce calde. Scavando più in profondità, si possono costruire grandi impianti con elevati rendimenti energetici. Per questo in molti sono interessati alle rocce calde (150-250 °C) che si trovano a circa 5 km di profondità. Questa tecnica, chiamata "hot dry rock" ("rocce calde e secche"), funziona così: si inietta acqua in profondità, con un pozzo; l'acqua si vaporizza, passa attraverso le fessure nella roccia (che si possono creare artificialmente, per mezzo dello shock termico che si ottiene iniettando acqua fredda ad alta pressione) e risale da un pozzo adiacente, per azionare una turbina quando arriva in superficie. Poi il ciclo ricomincia.

INCONVENIENTI
Questa tecnologia è sotto studio in Australia, negli Usa e in Svizzera. Proprio in Svizzera, tra l'altro, il pompaggio dell'acqua ha causato un terremoto di 3,4 gradi della scala Richter (leggero ma ben percepibile).
Fortunati. In Italia la situazione è diversa, perché da noi si trovano rocce calde e acqua a profondità minori, quindi conviene sfruttare quelle. «Gli impianti geotermici in funzione sono a Larderello-Monte Amiata, con una potenza istallata di 800 MW, pari all'1,8% del fabbisogno nazionale e al 25% di quello della Toscana», spiega Giuseppe De Natale, dirigente di ricerca all'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. «Ma tutta la zona tra la Toscana e la Campania potrebbe essere sfruttata con impianti a basso impatto ambientale: tecnicamente si potrebbe arrivare al 20% del fabbisogno nazionale in 15 anni».

ALTRI DOCUMENTI
Fotogallery: Geyser, il punto caldo.
Multimedia: Anatomia di un vulcano.

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Piastrelle elettroniche per recuperare gli sprechi di calore
Perché non recuperare l'energia "sprecata" dalle centrali termoelettriche?

Per rifornire le reti elettriche di tutto il mondo, le centrali producono 15 mila miliardi di Watt. Lo fanno soprattutto bruciando combustibili fossili, con un processo che però è poco efficiente dal punto di vista energetico: altri 15 mila GW (miliardi di watt) si disperdono sotto forma di calore... Perché non recuperare, almeno in parte, questa energia sprecata?
Piastrelle. In teoria si potrebbe, grazie a un fenomeno scoperto nel 1821 dal fisico estone Thomas Johann Seebeck: scaldando il punto di contatto tra due barre di metalli diversi, e mantenendo le altre estremità a temperatura inferiore, si genera una differenza di potenziale che può alimentare un circuito elettrico. «Si stanno realizzando piastrelle che si possono applicare vicino a fonti di calore come forni domestici o impianti industriali » spiega Dario Narducci, docente di scienza dei materiali all'Università Milano Bicocca, che coordina un progetto di ricerca di questo tipo. «Il rendimento (la percentuale di energia recuperata) è attualmente minore del 10% e richiede materiali di costosa realizzazione. In futuro, però, se si investirà in questo settore, si potranno presumibilmente raggiungere rendimenti maggiori e con materiali economici come il silicio».

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Turbine sottomarine per rubare energia alle maree
Azionati dal moto naturale dell'acqua, nuovi generatori sono già in funzione e producono energia elettrica.

Anaconda elettrica
Anaconda è il mostro marino più ecologico che c'è. E produce energia (leggi la notizia).

I mari della Terra sono in perenne movimento: onde, maree, correnti oceaniche... se si riuscisse a rubare un po' di energia a questi fluidi in movimento, si potrebbero alimentare molte città. Nelle isole Orkney, a nord della Scozia, l'Emec (European Marine Energy Centre) sta sperimentando nuove tecnologie di questo tipo, con l'obiettivo di arrivare nei prossimi anni a coprire il 20% del fabbisogno energetico della Gran Bretagna.

Wavebob e OpenHydro
OpenHydro sfruttano il naturale moto dell'acqua per produrre energia gratis e senza fine dall'oceano (leggi la notizia).

ONDE E MAREE
Finora sono stati sperimentati due sistemi innovativi: Pelamis, un serpentone metallico capace di trarre energia dai movimenti delle onde (vedi Focus 187) in superficie, e una turbina istallata nel fondo del mare dalla società dublinese OpenHydro per sfruttare i flussi d'acqua generati dalle maree.
Collegata in rete. Quest'ultima è stata inaugurata nel maggio 2007, dopo 18 mesi di test, e produce 250 KW, che immette nella rete elettrica britannica. OpenHydro sta ora preparando turbine da 1 MW da installare nella baia di Fundy (Canada) e nel canale della Manica.

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Si può trasformare l'acqua in un combustibile?
Ipotesi: con le onde radio si rende infiammabile l'acqua del mare (ma si usa energia).

Acqua di fuoco...
Acqua di fuoco: vedi il video in fondo a questa pagina.

A vedere le foto (e i filmati su Internet), quasi non ci si crede: una provetta piena di acqua di mare che, bombardata da onde radio, prende fuoco. La regge John Kanzius, l'ingegnere statunitense che, per caso, ha scoperto il bizzarro fenomeno. Kanzius aveva sviluppato una macchina a onde radio (*) per sperimentare una tecnologia di tipo medico. Un giorno ha deciso di usare i suoi apparecchi per un esperimento diverso: desalinizzare l'acqua di mare, allo scopo di renderla potabile. L'acqua, però, ha preso fuoco.
Scissione. L'esperimento è stato ripetuto in altri laboratori, con identico effetto. La spiegazione? A grandi linee, pare che le onde radio producano la scissione delle molecole d'acqua, generando idrogeno. E la presenza di sale sembra che sia importante per attivare il fenomeno. Tutto ciò è affascinante, ma non è ancora chiaro che applicazioni potrebbe avere. Di certo non risolverà i problemi energetici del pianeta, perché l'energia necessaria a far bruciare l'acqua di mare (sotto forma di onde radio*) è con ogni probabilità maggiore di quella liberata dalla combustione.

(*) "microonde" corretto in "onde radio", 31/7/2008. Grazie ad Alessandra Smarra per la segnalazione.

Una breve sequenza dal videoclip che illustra la scoperta di John Kanzius

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Un pieno di metalli: non producono CO2 e si riciclano
Quando un metallo è ridotto a dimensioni 10 mila volte più sottili di un capello può bruciare in un motore simile al diesel.

Motori alimentati a metallo
Accanto a quelle della "super" avremo anche le pompe di metallo filato? (Grafica © Stefano Ranfi. Clicca qui per ingrandire l'immagine.)

Lo sapevate che la lana di ferro è infiammabile? Accade perché tutti i metalli reagiscono con l'aria e si ossidano. Spesso non ce ne accorgiamo, perché l'ossidazione avviene solo sulla superficie. Se, però, la superficie aumenta - perché il metallo è trasformato in una lana sottile o in una polvere - allora il fenomeno diventa più energetico e perfino esplosivo.
Infiammabili. Le polveri metalliche, infatti, sono usate come combustibile per razzi. Dave Beach, ricercatore all'Oak Ridge National Laboratory, ha spinto quest'idea all'estremo: propone di utilizzare motori che brucino, invece della benzina, polveri di ferro, alluminio o boro. Se le polveri sono 10 mila volte più sottili di un capello, dice Beach, possono bruciare in un motore simile al diesel. E senza inquinare: la combustione avverrebbe a soli 500 °C, quindi senza produrre ossidi d'azoto o altri inquinanti, mentre le polveri di scarto potrebbero essere raccolte e, successivamente, riattivate con un processo chimico.
Meglio le batterie. L'idea è affascinate, ma è difficile metterla in pratica. «Un'idea più realistica sono le batterie metallo-aria», spiega Ugo Bardi, «per esempio zinco-aria o alluminio-aria. Quest'ultimo tipo è stato sperimentato con successo dai militari negli Usa». E si possono ricaricare con un processo elettrochimico o rifondendo i metalli.

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L'energia dei passi
Se 1 passo produce 10 W, una folla può illuminare uno stadio...

Energia a piccoli passi...
Sfruttare i passi per generare energia: l'idea è del britannico David Webb. (Grafica © Stefano Ranfi. Clicca qui per ingrandire l'immagine.)

Lampioni, semafori, insegne: in futuro potrebbero essere alimentati dall'energia "rubata" ai pedoni che camminano, secondo l'ingegnere britannico David Webb. Funziona grazie a un sistema di cuscinetti nascosti sotto il pavimento o le scale: ogni volta che se ne calpesta uno, si fa pressione su un fluido che va ad azionare una serie di microturbine, generando elettricità. E lo stesso principio potrebbe essere applicato al passaggio di autoveicoli e di treni.
Nel metrò. Di certo questa invenzione non può essere la soluzione dei problemi energetici mondiali, ma potrebbe dare il suo contributo: secondo le stime, le 34 mila persone che transitano ogni ora nella stazione Vittoria della metropolitana di Londra, in pieno centro, riuscirebbero a tenere accese 6.500 lampadine.

17 luglio 2008 Andrea Parlangeli
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